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Questo articolo è stato pubblicato il 11 giugno 2010 alle ore 22:55.
La persistenza di Ennio Flaiano nella cultura italiana è sottile e duratura. Sceneggiatore di successo, giornalista, scrittore multiforme e grande diarista, l'autore pescarese è tuttavia sempre stato a rischio di fraintendimenti o di facile riduzionismo.
Nel centenario della nascita, Adelphi pubblica un bel cofanetto di Opere scelte che comprendono tutti i libri pubblicati in vita e un florilegio di scritti postumi. Un'occasione per rimettere i pezzi in ordine dal punto di vista critico — grazie anche alla preziosa introduzione di Anna Longoni.
Nonostante un brillante esordio come romanziere (con Il tempo di uccidere, Premio Strega 1947), Flaiano è ricordato soprattutto come specialista dell'aforisma. E il rischio fondamentale è proprio questo: limitare la sua portata alla battuta localizzata, alla sentenza.
In realtà, se la prosa di Flaiano trova forza particolare nella forma breve, è solo per la sua innata epigrammaticità. Una questione molto più profonda, dunque, e che nulla toglie alla potenza di uno scrittore "satirico" solo all'apparenza.
Come spiegava lo stesso Flaiano ad Aldo Rosselli, infatti, i suoi lavori contengono una visione precisa: la struttura è "tenuta nei limiti della correttezza. La parola è il messaggio stesso". La paratassi al limite della sciatteria nasconde in realtà un lavoro di enorme attenzione e rispetto verso la lingua italiana.
"Io cerco di scrivere male apposta", spiegava — e questo scrivere male è frutto di una reinvenzione continua della frase e al contempo la ricerca di un'essenzialità diversa. Lo stile, per Flaiano, è asservito alla necessità di arrivare al cuore delle cose. La poetica del frammento si fa dunque un bisogno ontologico e persino morale.
Rimettere Flaiano nella giusta prospettiva significa dunque abbandonare il luogo comune dell'intellettuale icastico, e riconoscerne le molte influenze: Camus, la narrativa russa e soprattutto Kafka. Il Supplemento ai viaggi di Marco Polo in Diario notturno ha tutti i crismi dell'apologo kafkiano; e gli appunti sparsi nelle varie opere sono molto più vicini alle forme dei Diari o ai Quaderni in ottavo di Kafka che alla tradizione aforistica italiana.
Più in generale, l'intera opera di Flaiano sembra percorsa da una tensione simile a quella dello scrittore praghese: come se la realtà fosse sempre sul punto di spezzarsi, di crollare in un'epifania. Se in Kafka questo portava spesso a una poetica del complotto, in Flaiano le cose sono più vaghe, più sfumate. Entrambi gli autori però appaiono diretti a forme di straniamento molto contemporanee, e sottilmente ironiche.