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Questo articolo è stato pubblicato il 17 giugno 2010 alle ore 17:09.
Lacrime e sangue, fare cinema è soprattutto questo. Dietro la storia della Settima arte c'è una moltitudine di geni, più o meno straordinari che, un pò artisti e molto imprenditori, hanno provato, spesso riuscendosi, a realizzare capolavori che amiamo. I produttori, spesso bistrattati e non di rado fascinosi farabutti, sono un ingranaggio necessario a questa industria di prototipi. Il padre dei miei figli diMia Hansen-Løve prova a raccontarci, con delicatezza, l'ultimo scorcio di vita del produttore Humbert Balsan, colui che fece scoprire ai francesi il cinema di Oriente e Medio Oriente (un nome su tutti: Chahine).
L'arte che uccide. Balsan portò alla luce tanta arte nascosta da restarne ucciso. Proprio come Gregoire Canvel, suo alter ego e protagonista de Il padre dei miei figli, Balsan si tolse la vita nel febbraio 2005, durante la lavorazione di Bela Tarr (che nel film diventa svedese, col nome di Stig Janson). Era sull'orlo del fallimento economico, quel cinema a cui tanto aveva dato lo stava tradendo. Lasciò in eredità un catalogo di una cinquantina di film ipotecati, ma quasi tutti belli, e una montagna di debiti.
Tributo a un uomo geniale. Mia Hansen-Løve, giovane compagna di Olivier Assayas e che ha esordito grazie a Balsan (il suo Tout est pardonné fu completato dopo la sua morte), alla sua opera seconda tributa un commosso e lucido omaggio a quest'uomo geniale e sensibile, fragile e forse un pò incosciente. Il cinema, però, rimane marginale, a favore di un ritratto di un intellettuale, di un seduttore che conquista con la testa e lo charme, di un uomo che cerca la felicità e lotta per l'arte senza rendersi conto quanto, entrambe, scavino dentro di lui un abisso. Ma la cineasta racconta anche di una donna forte, che vede il mondo attorno a sè crollare, rimane vedova con tre figlie, orfane inconsolabili di un padre meraviglioso a cui non perdonano la vigliacchieria con cui le ha abbandonate.
La forza delle donne. Due metà simmetriche di un racconto emotivo, di un cinema come passione irresistibile e pericolosa, di una vita per il cinema, ma anche viceversa. Mostrato con immagini e scene sobrie, con la voglia di dipingere un quadro sentimentale, senza toni accesi ma, comunque, molto vivaci. Bravissima Chiara Caselli nell'unire forza e fragilità, nel mostrarsi moglie e madre non infallibile, ma determinata. Usa il suo talento con attenzione e rigore, in un ruolo delicato e difficilissimo. Il suo fisico esile si mette al servizio di una donna che piange pochissimo ed elabora il lutto con dignità e (pro)positività. Bravissime le figlie, dalla bella e dolente Alice de Lencuqesaing (che recita col padre Louis-Do, che è un ottimo Canvel-Balsan) alle altre due piccole pesti. Un comprimario elegante è l'amico produttore, Eric Elmosnino.