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Questo articolo è stato pubblicato il 18 giugno 2010 alle ore 19:08.
C'è un paio di notizie che si riferiscono alla musica afro-americana da registrare e diffondere subito. La prima – in ordine di tempo – riguarda l'opera monumentale di Adriano Mazzoletti in tre volumi su Il Jazz in Italia (Edizioni di Torino) presentata alla fine del mese scorso nell'Auditorium della Musica di Roma. Ci sarà, ha confidato l'autore agli amici, un quarto volume sugli anni più recenti, dato che i tomi già in libreria si fermano al 1965. E' una sorpresa importante: Mazzoletti è un esperto speciale del jazz della "corrente principale" (mainstream) e molti ritenevano che non avrebbe affrontato le espressioni informali. Se, come tutto lascia prevedere, l'ultimo tomo sarà eccellente come gli altri, Il Jazz in Italia sarà davvero, come è stato scritto, "l'opera di una vita".
Per la seconda notizia riassumo in breve il comunicato stampa: «Il pianista e compositore Vijay Iyer ha ricevuto il prestigioso premio American Jazz Journalist Association Jazz Award 2010. Gli altri candidati erano Sonny Rollins, Joe Lovano, Dave Douglas ed Henry Threadgill. Con questo riconoscimento Iyer si colloca fra i grandi musicisti che lo hanno meritato in precedenza, come Herbie Hancock, Ornette Coleman, Wayne Shorter, Dave Holland…». I pochi giornalisti musicali italiani che avevano capito, per mezzo di un paio di concerti e di un solo cd quale fosse il livello di Iyer, non nascondono la loro soddisfazione.
Da tempo lo considerano, a pari merito con Brad Mehldau, il migliore pianista di jazz non ancora quarantenne. E' nato nel 1971 da genitori indiani a Rochester nello stato di New York, ed è quindi un po' più giovane di Mehldau che compie 40 anni nel prossimo agosto. Iyer è un personaggio singolare, di vasta cultura, laureato in fisica e musicologo pur essendo, come pianista, pressoché autodidatta. Si è imposto all'attenzione internazionale dopo un lungo sodalizio con il sassofonista e direttore Steve Coleman, le collaborazioni con Leo Wadada Smith, Butch Morris, Roscoe Mitchell, George Lewis e tredici dischi a suo nome, tutti di notevole spessore. Questi cd – dove sono stati pubblicati – hanno messo bene in luce la cifra stilistica di Iyer che è in grado di sintetizzare influssi americani, europei, africani e orientali, sollecitati dalla frequente presenza, accanto a lui, del sassofonista Rudresh Mahanthappa, un altro ottimo solista amerindiano (ma nato a Trieste!) suo coetaneo.