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Cultura-Domenica Arte

Una Bicocca per Boltanski

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Questo articolo è stato pubblicato il 23 giugno 2010 alle ore 09:11.

Con quel suo immenso volume cavernoso e cupo, che porta impressi i segni della durezza del suo passato industriale, HangarBicocca è stato, sin dall'inizio, uno spazio senza uguali per l'arte contemporanea. Difficile dimenticare l'emozione del suo esordio, nel 2004, quando dall'oscurità compatta del suo ventre si videro apparire le torri ferite dei Sette palazzi celesti di Anselm Kiefer, che da allora ne fanno parte in permanenza. Fu un colpo al cuore. Ma per quanto suggestivo, HangarBicocca era un luogo inospitale, glaciale in inverno, rovente in estate.

Dopo un lungo lavoro di ristrutturazione, che lo ha dotato degli impianti indispensabili senza però cancellarne la ruvida memoria, e che lo ha dotato di una libreria specializzata (l'HB Art Book, diretta da Fabio Castelli) e dell'HB Bistrot, il 24 giugno HangarBicocca riapre al pubblico, primo segnale forte di una rinascita che sembra avviarsi a Milano, in attesa che a novembre si inauguri il Museo del'900 nell'Arengario di piazza Duomo, restaurato da Italo Rota in modo da farne uno snodo vivo, in stretta relazione con la città.

Con la gran festa di domani debutterà in HB anche il suo direttore, Chiara Bertola, che da un lato ne ha marcato la vocazione originaria di luogo in cui, con l'arte visiva, trovano spazio tutti i linguaggi della contemporaneità (ha chiamato accanto a sé curatori per la danza e per i new media, il cinema e la musica), dall'altro ne ha accentuato l'internazionalità, stringendo un accordo di cooperazione con il Grand Palais di Parigi e con l'Armory di New York. E proprio da Parigi e New York, seppure radicalmente ripensata per questo spazio, arriva la mostra Personnes di Christian Boltanski (fino al 19 settembre), con cui HB inaugura il nuovo corso. L'autore ne parla come di una «partitura musicale suonata in modo diverso a seconda del luogo»: certo è che questo luogo lo ha sedotto, anche per il dialogo che la sua installazione, immensa ma «soffice» e orizzontale, allaccia con l'altra, dura e verticale, di Kiefer. Due voci diverse, le loro, che narrano però l'identica storia, evocando entrambe il rapporto tra la vita e la morte, tra il sentimento della perdita e il medicamento della memoria.

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Tags Correlati: Anselm Kiefer | Arte | Chiara Bertola | Christian Boltanski | Fabio Castelli | Fausto Melotti | HB Art Book | Italo Rota | New York | Parigi | Stefano Boccalini

 

Per arrivare a Personnes si passa attraverso i Sette Palazzi di Kiefer, accompagnati dai battiti di migliaia e migliaia di cuori registrati da Boltanski negli Archives du coeur (anche i visitatori di questa mostra potranno farlo), perché quel battito «animale», che è il simbolo più primordiale della vita, è al contempo il ritmo che scandisce inesorabile il franare del tempo verso la fine. Di questo parla, da sempre, Boltanski e qui lo fa con il pulsare dei cuori e con cumuli di vecchi abiti, simboli di innumerevoli vite e insieme simulacri di innumerevoli assenze, rovistati dagli artigli di una benna che, ciecamente, ne estrae alcuni, li sottrae alla loro anonima storia e li depone «altrove». Da non perdere, poi (fino al 1 agosto) End, trilogia di video del catalano Carlos Casas, che ha percorso i luoghi più estremi e inospitali della terra (la Siberia, la Patagonia e l'Uzbekistan), mentre fuori, in una sorta di controcanto, si alza con i suoi ritmi armoniosi la monumentale Sequenza, 1971-1981, di Fausto Melotti, e la struttura di Stefano Boccalini, Melting Pot 3.0, si propone come una metafora della convivenza tra le più diverse culture del mondo.

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