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Questo articolo è stato pubblicato il 23 giugno 2010 alle ore 13:44.
Il suo sguardo sconfina da Oriente a Occidente, abbraccia le danze di mondi opposti, fonde tradizione e contemporaneità, coniuga assonanze e dissonanze. L'anglo pakistano Akram Khan è forse l'esponente di punta più originale e innovativo di quel meticciato artistico che ha toccato anche la danza, che mescola stili e generi diversi attingendo alle proprie radici etniche e geografiche, ripensate e riflesse in chiave contemporanea.
Territorio fertile e fecondissimo di tale fenomeno è l'Inghilterra, dove le differenti razze da sempre convivono e l'immigrazione abbraccia ormai più generazioni. Espressione emblematica di tale connubio è stato l'ammaliante melting-pot con un'altra personalità dalla doppia origine: il belga-marocchino Sidi Larbi Cherkaoui, di tutt'altra formazione coreografica. Nel loro struggente duetto «Zero degrees», dialogante e combattivo, si poteva leggervi non tanto una sfida estetica, quanto una riflessione sulla possibile convivenza tra culture dalle differenti matrici. Il dialogo danzante di Khan si è esteso anche a operazioni più commerciali, ad esempio con l'attrice Juliette Binoche, prestatasi, infelicemente, a quest'arte. Oppure, con la sublime e dispettosa ballerina, Sylvie Guillem. Le collaborazioni si estendono anche ad artisti visivi e scrittori come Anish Kapoor e Kureishi, o musicisti come, Steve Reich e Nitin Sawhney.
Ritorno alle origini. Forse un bisogno di solitudine creativa, forse un desiderio di ritorno alle proprie radici, forse l'esigenza di una dimensione ancora più intima da recuperare, di ascolto di se stesso, sono alla base del nuovo spettacolo «Gnosis» in cui Khan, inizialmente solo in scena e accompagnato da cinque musicisti, ci immette nel mondo misterioso e affascinante della danza indiana. Non quella di Bollywood, per intenderci. Ma quella classica delle sue origini bengalesi, la danza kathak. Sembra inscritta nel suo corpo, tale è la naturalezza e l'energia con cui si muove, veloce e felpato, con cui saetta le braccia e le mani verso il cielo e verso terra, con cui batte i piedi tintinnanti di campanelle alle caviglie. Non è folklore né esotismo. Disegnando movimenti stilizzati, assorbendo il canto e la musica, il suo danzare è immersione interiore in un universo spirituale che si genera e si trasforma in scena. E che ipnotizza.