Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 23 giugno 2010 alle ore 20:22.
I cataloghi Soul Note e Black Saint sono stati istituiti a Milano nel 1975 da Giovanni Bonandrini, esperto di musica afro-americana – chiamiamola jazz per semplicità, sebbene non sia la stessa cosa – come pochi altri non soltanto in Italia. Erano due etichette discografiche complementari, la prima dedicata al jazz "della corrente principale" (o jazz-jazz, come dicono i francesi) la seconda alle opere con tendenze d'avanguardia. Avevano entrambe una caratteristica molto speciale, quella di costituire il primo progetto sistematico italiano di registrare ex novo soprattutto complessi e solisti americani. La quantità e la qualità di Soul Note e Black Saint sono diventate in breve celebri in tutto il mondo e hanno procurato ogni anno al titolare – con puntualità quasi monotona, si sarebbe tentati di dire – la qualifica di miglior produttore specifico. Ma dopo più di trent'anni Bonandrini si è ritirato a vita privata: adesso le due magnifiche etichette appartengono alla CamJazz di Roma e si trovano perciò nelle mani altrettanto sicure di Ermanno Basso, ben noto ai cultori del jazz.
Basso sta ora provvedendo alla rimasterizzazione del prezioso materiale. Ha già pubblicato quattro eleganti cofanetti bianchi che mostrano in copertina i titoli e le microimmagini dei cd primigeni. Riguardano rispettivamente il compositore e contrabbassista Charlie Haden, il trombettista Enrico Rava, il sassofonista Henry Threadgill e il pianista Enrico Pieranunzi. Per fare un esempio, il box di Haden contiene cinque cd (questo numero è variabile) che si chiamavano in origine Old & New Dreams, A Tribute To Blackwell, Etudes, Silence e First Song. Naturalmente ci saranno altri cofanetti come questi, a cominciare da un secondo gruppo di cinque, particolarmente impegnativo, che sarà presentato alla critica il prossimo 17 luglio a Perugia durante il penultimo giorno di Umbria Jazz. Si tratta dei box di George Russell (9 cd), Lester Bowie (3 cd), Cecil Taylor (4 cd), Paul Motian (6 cd) e Bill Dixon (9 cd).
Su quest'ultimo conviene soffermarsi per la sua importanza e tempestività. Dixon, compositore trombettista e didatta americano (nonché pittore di notevole rilievo), è morto il 16 giugno scorso a 84 anni nella sua casa di Bennington, nel Vermont. Malgrado fosse un grande maestro del jazz, le agenzie e la stampa lo hanno quasi ignorato, complici il suo cronico understatement e l'attività di insegnante che mal si concilia con gli impegni concertistici e discografici. Fu salvato una prima volta dall'oblio nel 1980 dal mitico JazzFest di Verona di allora, e appunto dal 1980 in poi se ne occupò la Soul Note/Black Saint che gli fece registrare nove album: sono Bill Dixon in Italy vol.1 e vol.2, November 1981, Thoughts, Son Of Sisiphus, Vade Mecum vol.1 e vol.2, Papyrus vol.1 e vol.2 che rappresentano un settore cospicuo della discografia a suo nome. Si noti che Verona Jazz, oltre che nel 1980 in settetto, lo ha ospitato ancora nel 1988 in quartetto e nel 1992 in duo con Cecil Taylor, per cui Dixon diceva a chiunque gli prestasse attenzione che l'Italia era la sua seconda patria e gli aveva offerto tanti amici sinceri. Non si perdano dunque i suoi dischi italiani che torneranno a disposizione del pubblico per CamJazz nel prossimo autunno, con i suoni a prova dei più esigenti ascoltatori del Duemila.