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Questo articolo è stato pubblicato il 01 luglio 2010 alle ore 18:21.
Il sodalizio artistico che legò Maurice Béjart al Tokio Ballet risale agli anni Ottanta. Quei ballerini dagli occhi a mandorla, dalla fisicità adatta al lessico classico-moderno, dalla tecnica perfetta, unita ad una spiritualità immota ed estatica, dalla ricchezza di filosofie a lui care, sedussero il coreografo marsigliese al punto da spostare per breve tempo l'asse creativo dalla sua compagnia e dal suo vivaio. Per loro crea le coreografie esclusive di «Kabuki», «Gagaku», «Mishima». E a loro consegna i diritti esclusivi di alcuni importanti balletti. Fra questi «Le sacre du printemps», «Danses grecques» e «Don Giovanni».
La ghiotta occasione di vedere questo trittico ci è stata offerta dal Napoli Teatro Festival Italia nella splendida cornice del Teatro San Carlo, che ha visto un clamoroso successo di pubblico, inaugurando la tournèe italiana. Emana tutto il calore del Mediterraneo orientale «Danses grecques». Si apre e si chiude su uno sfondo azzurro accompagnato dal rumore del mare, con tutta la compagnia di oltre 50 elementi che ondeggiano poggiati ad una sola gamba e con le braccia che sembrano assecondare il flusso e riflusso delle onde. È una coreografia solare, nel semplice bianco e il nero della calzamaglia, con momenti di intensa coralità - l'abbraccio concatenato che si estende frontalmente e in larghezza come un movimento all'unisono di gambe - con sequenze alternate ad assoli e duetti, sulla trascinante musica del greco Mikis Theodorakis.
Giocato con estrema libertà sulla base classica, «Don Giovanni» è tutto al femminile. Sulla melodia della celebre aria di «Là ci darem la mano», una variazione di Chopin su un tema di Mozart, un gruppo di giovani ballerine in sala prove sprigionano tutta la loro passione verso il playboy immaginario. Solo una luce sul bordo della scena e verso la quale convergono tutte estasiate; quindi un libro tenuto in mano da una delle ballerine; poi uno sgabello: bastano a evocare il mitico personaggio e gli effetti che la sua presenza immaginaria produce. Il passaggio di un operaio con la scala sottobraccio farà svanire infine quel breve miraggio di esaltante passione, riportando le sognatrici alla realtà.
Una coregrafia rivoluzionaria. Tra i capisaldi della poetica di Bejàrt, di travolgente forza ritmica, «Le sacre du printemps» creato nel 1959, e ancora rivoluzionario nel suo disegno coreografico, fu concesso al Tokyo Ballet nel 1993 in occasione del trentesimo anniversario della compagnia. E, nonostante quei corpi dal fisico non particolarmente adatto a rappresentare un rituale selvaggio, bisogna ammettere che la precisione corale e compatta dei danzatori giapponesi restituiscono alla coreografia un inusuale respiro tellurico. Complice, naturalmente, la concezione di Béjart ancora fascinosa e di grande impatto sulla platea. La stringatezza e la forza del suo linguaggio è qui concentrata particolarmente sulle masse che si scontrano e incontrano in un primigenio impatto fra creature umane. Tutto danzato nello spirito della partitura barbarica di Stravinskij, privato di ogni aspetto folklorico, Béjart ne fa una sorta di apoteosi dell'amore.