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Questo articolo è stato pubblicato il 08 luglio 2010 alle ore 18:55.
Parliamo ancora di Umbria Jazz 2010, a poche ore dall'inizio. Quest'anno il festivalone è ricco di iniziative collaterali: presentazioni di film, di libri e di dischi. Ottima idea in questo tempo di vacche magre, di cui anche il programma concertistico di Perugia inevitabilmente risente. Ma c'è una "collateralità" molto importante che va sottolineata per un motivo speciale.
Lunedì prossimo 12 luglio alle ore 12, nella Sala dei Notari del capoluogo umbro, è annunciato un incontro con Manfred Eicher, fondatore e direttore dell'etichetta discografica tedesca Ecm, presentato dal giornalista americano Gary Giddins. Nei giorni successivi ci sarà una serie di sei concerti con artisti Ecm (in tre dei quali suonerà il pianista Stefano Bollani e in uno il trombettista Enrico Rava): anche questa è un'ottima idea che giova al programma. Però c'è un punto che ha fatto aggrottare la fronte agli intenditori e agli estimatori di Umbria Jazz.
Per chi non lo sapesse o non lo ricordasse, la Ecm è la casa discografica del pianista Keith Jarrett, che ne rappresenta una delle colonne dal lontano 1972. Il 12 luglio 2007, a notte fonda, la direzione artistica di Umbria Jazz dovette dichiarare chiuso ogni rapporto con il pianista per i suoi insulti verso il pubblico e la città di Perugia gridati dal palcoscenico prima di iniziare il concerto con il trio. Leggiamo una cronaca, pubblicata due giorni dopo, che riportò la traduzione letterale delle parole di Jarrett con un adeguato commento: «Non parlo italiano, ma se quei fottuti str…. che hanno quelle fottute macchine fotografiche non le spengono, io me ne vado. Io, Gary Peacock e Jack Dejohnette ci riserviamo il diritto di andarcene. Ogni persona che abbia accanto qualcuno con una macchina fotografica deve strappargliela di mano. Se non succede questo, io lascierò questa maledetta città e voi avrete pagato il biglietto per niente. Il privilegio di essere qui è vostro, non mio».
Questo esempio di dolce stil novo, sebbene il lettore possa faticare a crederlo, sono le parole che Keith Jarrett ha pronunciato entrando nel palcoscenico dell'Arena Santa Giuliana di Perugia, gremita da oltre 4000 persone intirizzite da un vento gelido. Parole premeditate, perché il pianista superdivo aveva come collare un piccolo microfono, subito spento dopo la sparata e prima di attaccare il brano d'apertura, On Green Dolphin Street. Parole offensive soprattutto verso la città che lo ha ospitato tante volte dal 1974 in poi (tre volte negli ultimi cinque anni), pagandogli quei cachet astronomici che oggi gli permettono la folle abitudine di approdare in Europa in un hotel di Nizza, di noleggiare un aerotaxi con contrabbassista, batterista e altre persone al seguito per raggiungere il luogo del concerto, e poi di ritornare a Nizza a concerto ultimato.