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Cultura-Domenica Musica

L'Islam va in Batmobile

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Questo articolo è stato pubblicato il 10 luglio 2010 alle ore 08:06.

Chissà se Richard Poplak sa di aver citato, a modo suo, 'A livella di Totò. Scrittore, documentarista, regista, viaggiatore con qualche impronta lasciata da Bruce Chatwin, il canadese Poplak sostiene che di livelle ce ne siano due. Una è la morte, e in questo concorda col principe Antonio De Curtis. L'altra è la cultura pop, intesa come quell'insieme di oggetti del desiderio, cult movie, personaggi, cantanti, serial tv, brand, bibite che hanno forgiato la nostra identità dagli anni Sessanta in poi.
L'assioma che Poplak descrive in Tra gli sceicchi in Batmobile. Un viaggio pop nel Medio Oriente sconosciuto, appena edito da L'Ancora del Mediterraneo, è semplice: quello che la cultura pop «sa fare meglio è unirci tutti in un indefinibile, primigenio momento di gioia, tristezza, emozione, euforia». Momento senza senso, perché «dalla completa assenza di significato del pop si possono derivare tutti i significati». Dunque, la cultura pop – di marca in gran parte statunitense – si può esportare non solo e non tanto perché è la punta di lancia della colonizzazione americana. Ma perché è una specie di contenitore, di soffitta, di luogo dei desideri a cui ognuno dà il significato che vuole. Attraverso questa categoria Poplak cerca di spiegare al lettore medio occidentale, irrimediabilmente segnato dallo stereotipo anti-musulmano del post 11 settembre, cosa succede veramente sul pianeta Islam. Dai deserti della penisola arabica all'Indonesia, con incursioni in Kazakhistan, Turchia, Egitto, la Palestina, e poi Siria, Iran, Dubai e Yemen.
Non che sia una chiave nuova. In italiano c'è, per esempio, il testo di Mark LeVine, Rock the Casbah! I giovani musulmani e la cultura pop occidentale (Isbn 2010). In inglese la bibliografia è più ricca: dal semplice ritratto delle nuove donne (velate) di Allegra Stratton con il Muhajababes al ricchissimo saggio di Marc Lynch, Voices of the New Arab Public: Iraq, al-Jazeera, and Middle East Politics Today.
Di pop musulmano, e in particolare di pop arabo, si sa già molto, insomma: dall'hip hop levantino al rap palestinese (e impegnato) dei Dam Palestine, arabo-israeliani che Poplak è andato a trovare nella loro città emarginata Lod, sino ai street artist libanesi. L'heavy metal in riva al Nilo, fotografato da Poplak nella figura di Karim e del suo festival, l' «Egypt Music Gates». Ancora la guerra tra i colossi egiziano e saudita a colpi di fiction che fra qualche settimana avrà il suo culmine (in contemporanea col ramadan) e vedremo se a trionfare sarà la seguitissima soap opera siriana Bab el Hara, alla sua quinta edizione.

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Tags Correlati: Al Jazeera | Allegra Stratton | Antonio De Curtis | Bruce Chatwin | Dubai | Edward Said | Egitto | Marc Lynch | Medio Oriente | Middle East Politics Today | Musica | Richard Poplak

 

Il merito di Poplak è quello di aver mostrato la sintesi dell'influenza pop americana sul mondo musulmano. Perché gli sceicchi di Dubai che si fanno ricostruire la copia esatta della Batmobile di Batman? Perché gli sviluppatori di videogiochi siriani, come quelli di Afkar Media, ricostruiscono in chiave mediorientale i giochi di guerra made in Usa, riprendendo i vecchi miti di Quraysh e la Seconda Intifada?
Poplak non dà per scontato che questa influenza culturale sia positiva. Né crede che, nell'indefinito oriente musulmano, vi siano solo consumatori passivi. Ha imparato la lezione del critico storico dell'orientalismo Edward Said sulla maniera occidentale (sbagliata) di leggere l'Oriente come un luogo esotico, retrogrado e sensuale. Egli stesso prodotto di un'identità multipla (nel libro si definisce, a seconda delle circostanze, americano, sudafricano, ebreo), Poplak ha occhi e cuore aperti, dovunque si trovi. Una condizione dello spirito che gli consente di vedere molto, e che permette di perdonargli le tante imprecisioni storico-politiche che si incontrano nel testo. A vincere è, infatti, la lettura complessiva di quello che sta succedendo in un mondo in transizione, com'è soprattutto quello arabo. «Una cultura costretta a saltare di continuo da universo a universo è una cultura sotto pressione, una cultura che ha un urgente bisogno di formulare un'idea coerente di se stessa», scrive.
Quella che costruisce su tv generaliste via satellite, fiction del ramadan, canzonette, supereroi versione musulmana, videogiochi e suonerie dei telefonini.
Viva la cultura pop, sembra la conclusione senza snobberie di Poplak. Se diventa la chiave per entrare in casa d'altri, e capire i loro sogni.
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