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Questo articolo è stato pubblicato il 15 luglio 2010 alle ore 08:11.
Un blu misterioso e lucente va coprendo un tesoro: i reperti preistorici, tra cui ossa umane e strumenti in pietra, trovati vicino a Verona e appartenenti ad alcuni degli ultimi Neandertal presenti in Europa dopo l'arrivo degli umani moderni. Un confronto tra il Dna di quelle ossa e di ossa neandertaliane trovate altrove, dicono gli scienziati, potrebbe rivelare gli spostamenti degli ultimi Neandertal. Invece si stanno deteriorando nell'ex arsenale dove erano state spostate tra il 2007 e il 2008, dopo che il Comune di Verona aveva venduto Castel San Pietro che le ospitava insieme ad altre collezioni del Museo civico di storia naturale. Il ricavato doveva pagare il restauro dell'arsenale, ma poi è stato destinato ad altro.
In una petizione al ministro della Cultura Sandro Bondi, alcuni scienziati chiedono il trasferimento di tutti i reperti in un luogo sicuro, un comitato di esperti che determini i danni e un'indagine per scoprire chi ha messo in pericolo la collezione, un possibile reato in base alle severe leggi italiane sul patrimonio culturale. Reid Ferring, un geo-archeologo della University of North Texas, l'ha firmata. Trova «devastante che sia stata danneggiata una collezione di tale valore scientifico». Verona, ricorda, è un sito del Patrimonio mondiale, «viene da pensare che poteva star più attenta alle sue collezioni storiche».
La curatrice Laura Longo ha cominciato a preoccuparsi in febbraio quando ha avuto, brevemente, accesso ai reperti. Scoperto che alcune selci erano di un blu vivace, ne diede quattro a Gilberto Artioli, dell'università di Padova, per un'analisi chimica, informò il direttore del Museo nonché Vincenzo Tiné, il sovrintendente del Veneto per i beni archeologici, il rappresentante regionale del ministero della Cultura a Venezia. E a giugno inoltrò un rapporto a Stefano De Caro, il direttore generale per l'archeologia del ministero, e al nucleo dei carabinieri per la tutela del patrimonio culturale che lo ha già trasmesso alla procura di Verona. Nel frattempo le prime analisi fatte da Artioli rivelavano che i campioni erano impregnati di idrocarburi, forse dovuti alla benzina o ai lubrificanti usati per le armi. «Ma ciò non spiega il colore». Ritiene che i vapori di idrocarburi contenevano un inquinante il quale ha reagito sulle selci firmando un pigmento mai visto prima, «molto stabile e durevole». Per trovare la fonte dell'inquinante basterebbe poco, dice, ma politicamente il risultato potrebbe essere esplosivo. Se fossero le pareti dell'arsenale, il Comune avrebbe lasciato trasferire i reperti in un edificio senza i dovuti controlli. Per Tiné invece, potrebbe esser colpa dell'imbottitura delle nuove teche, «su milioni di oggetti, soltanto un centinaio è diventato blu ed è facile farli tornare del colore originale».