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Questo articolo è stato pubblicato il 16 luglio 2010 alle ore 08:05.
Immaginate questa scena. Un uomo allampanato, intorno ai trent'anni, le mani sulla videocamera, formula una domanda in un tedesco rapidissimo. Dall'altra parte del tavolo, un signore anziano, i capelli bianchi, giacca e camicia, ascolta con fare assorto, sempre più assorto, fino allo scoccare impercettibile delle palpebre sugli occhi. Siamo a Heidelberg. È il 2000. Tra i due cala il silenzio. Passano i minuti. Il giovane è un curatore d'arte. Il vecchio uno dei grandi filosofi del nostro tempo. Il giovane viaggia continuamente, mosso da un demone spiazzante e acuto, tutto estro associativo e calcolo delle connessioni: la sua mania di intervistare le migliori menti del mondo, in qualsiasi campo, lo ha portato ad accumulare un archivio di dialoghi unico e prezioso, ben aldilà del sistema dell'arte, che è il suo trampolino. Il vecchio ha già un posto nella storia del pensiero. Il giovane, Hans-Ulrich Obrist, si guarda intorno preoccupato: passa le mani sulle mani, cerca di avvicinarsi ma non è del tutto a suo agio, non c'è nessuno e il suo celebre intervistato potrebbe essere morto. Hans-Georg Gadamer, il celebre intervistato, ha quasi cento anni. Altro silenzio. Un istante prima del panico l'unico telefono della stanza, ben nascosto, esplode all'improvviso, una, due, tre volte. Il vecchio filosofo si sveglia, risponde, riattacca, e la conversazione riprende esattamente da dove si era interrotta.
Hans-Ulrich Obrist – che sarà a Torino, al Museo d'Arte Contemporanea del Castello di Rivoli, domenica 18 luglio, per aggiungere al suo catalogo un'intervista in pubblico con Giuseppe Penone, artista di enorme influenza internazionale e di altrettanto nota ritrosia – è un maratoneta della produzione di conoscenza. La carta d'identità lo segnala ufficialmente come co-direttore della Serpentine Gallery di Londra, una delle tre o quattro istituzioni centrali del cosiddetto sistema dell'arte. Il curriculum vitae sostiene che abbia curato centinaia di mostre di ogni genere, spesso di alta qualità e carica inventiva, dalle prime nella cucina di casa sua al prossimo grande intervento alla Biennale di Architettura di Venezia. A lui piace pensare di essere una «macchina di libri», visto che le migliaia di ore di interviste realizzate con i più significativi artisti, pensatori, scrittori, progettisti, urbanisti, compositori della scena contemporanea si trasformano in un torrenziale effluvio di pubblicazioni a cadenza quasi mensile, volumi smilzi o spessi, in tutte le lingue, destinati alla piccola coriacea circolazione dei musei oppure al più ampio mercato dell'editoria generalista. Se lo vai a trovare nel suo ufficio vicino ai giardini di Kensington esci carico di storie, contatti, titoli rilegati. Se lo segui per qualche anno in giro per il mondo, on e off, con il costante rimbalzo di messaggini mail telefonate da ogni angolo del pianeta a qualsiasi ora, ma specialmente presto, perché per anni Obrist ha professato la mancanza di sonno come un piccolo culto («C'è abbastanza tempo per dormire quando si è morti»), ti capiterà di intercettare le traiettorie di Matthew Barney e Bjork in Islanda, quelle di Rem Koolhaas in viaggio per Pechino, ma anche quelle di Olafur Eliasson alle prese con le sue macchine di percezione, tra Berlino New York e chissà dove. Poi di scendere quasi fino a Gibilterra e risalire a Granada, alla casa di Federico Garcia-Lorca, dove incontrerai Gilbert & George assieme a Enrique Vila-Matas per una serie di mostre calate negli spazi esistenziali dei grandi nomi del 900. Poi negli Emirati, in America Latina, in Russia e presso qualunque latitudine animata dal commercio di opere d'arte. Ma attenzione: Obrist, che la rivista «Art Review» ha designato l'anno scorso most powerful man del sistema artistico mondiale, possiede un grammo di purezza per ogni grammo di istinto mondano, di costruzione del potere. «Il potere serve per fare cose più libere», diceva agli amici all'indomani della nomination. È appena uscito il secondo volume delle sue Interviews (Charta, 68 euro), lungo mille pagine, fitto di risposte domande stratificazioni e visioni. L'occasione offerta dal Castello di Rivoli non è soltanto di sentire live le sue domande per la prima volta rivolte al grande Giuseppe Penone, o in seguito di ascoltarne il dialogo con un cultore del genere-intervista come Alain Elkann. È la chance di condividere un frammento della sua esasperante infinita generosa maratona intellettuale: in sé, una delle più importanti opere d'arte della nostra epoca.