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Cultura-Domenica Arte

Torre Velasca come interprete del boom della Milano che fu

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Questo articolo è stato pubblicato il 20 luglio 2010 alle ore 14:41.

Boom economico, funzionalità, idea di rilancio, inevitabile richiamo alla Storia. La Torre Velasca ha rappresentato tutto ciò: molto più di un solo grattacielo, per Milano è stata il simbolo di un'era che nonostante la cementificazione incombente, non c'è più. Progettata e realizzata sul finire degli anni '50 la sua insolita silhouette, che in cima si allarga conquistando gli spazi che le erano negati alla base, ha caratterizzato in maniera imprescindibile lo sky line milanese, fino a costitutire un tutt'uno con gli altri due punti massimi della città, le guglie del Duomo e il Pirellone, in un dialogo molto ravvicianto con il Castello Sforzesco.

Riconducibile solo in parte all'impostazione del razionalismo nostrano, è il massimo esempio realizzato della limpida e battagliera coerenza teorica degli architetti Banfi, Belgiojoso, Peressuti e Rogers (BBPR). Tutto, dalla mole agettante sull'esempio dei palazzi medievali, ai materiali, alle tecnologie e soluzioni adottate si rifà al côté di preesistenti, in un gioco di rimandi che dai torrioni del Castello si rinfrange sui campanili cittadini, dalla vicina Torre di San Gottardo a quella di Sant'Eustorgio. Coerente con la tradizione anche la destinazione degli spazi, con i negozi e gli uffici che occupano i piani inferiori fino al diciottesimo e gli spazi abitativi, caratterizzati dalle travi oblique che sostengono gli 8 piani superiori agettanti, in cima. Stretto fra le strutture incombenti il grande fungo occupò gli spazi liberati dai bombardamenti alleati, liberandosi all'insù dalle costrizioni degli edifici circostanti la piazza dedicata al governatore spagnolo Juan Fernandez de Velasco, da cui il palazzo prende il nome. Fra le curiosità, vi hanno abitato l'attore Gino Bramieri e fece da set al film con Alberto Sordi e Franca Valeri, il Vedovo.

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