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Questo articolo è stato pubblicato il 25 luglio 2010 alle ore 14:56.
Hara Tamiki è stato il più bravo, tra gli scrittori giapponesi contemporanei, a descrivere l'esperienza dell'atomica. I giovani sono portati a pensare che uno scrittore possa trattare tanti temi diversi, nelle sue opere. Ma per il vero scrittore, così come la sua vita è una soltanto, i temi a cui dedicarsi sono limitati. La questione si pone unicamente in termini di profondità o di superficialità. Per acquistare profondità, uno scrittore coraggioso può arrivare a scegliersi un tema tutto suo, scartando qualsiasi altra possibilità, anche quelle che potrebbero arricchirlo.
Hara Tamiki era a Hiroshima il 6 agosto 1945, quando sulla città fu sganciata la bomba atomica. Da quel momento in poi, ha posto il disastro atomico alla base del suo discorso letterario. E non solo: lo ha posto alla base della sua stessa vita. A proposito dello stile che, tra tutti i testi che ha scritto nel corso della sua carriera, sembra mostrare il maggior grado di solidità, Hara Tamiki spiega: «Dopo essere sopravvissuto alla tragedia dell'atomica, per me e la mia scrittura fu come essere esclusi con violenza da qualcosa. Volevo descrivere quelle scene che avevo visto con i miei occhi, fosse anche l'ultima cosa che facevo. In mezzo alle grida e al caos della morte, ardeva dentro di me una supplica agli uomini nuovi. Se, debole come sono, ho potuto sopportare una fame e uno stato di necessità cosi estremi, è in parte anche per questo. Ma l'onda di isteria del dopoguerra mi ha travolto furiosamente, e sembrava sempre sul punto di ridurmi in mille pezzi. Ogni singolo istante di vita su questa terra, per me, è come attraversato da brividi vertiginosi. Da allora mi porto dentro il dolore acuto della tragedia che si svolge quotidianamente nel cuore delle persone, dell'ultimo sforzo a cui ciascun essere umano è sottoposto. Riuscirò a resistere a tutto questo, riuscirò a descriverlo?».
Hara Tamiki è senza dubbio riuscito a sopportarlo, è riuscito a descriverlo, e ha lasciato alla letteratura giapponese del dopoguerra un corpus di opere memorabili. Hara Tamiki aveva ben chiaro davanti agli occhi tutto ciò di cui doveva scrivere. E non è morto fino a quando non ha finito di scriverlo, almeno a grandi linee.