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Se il capitano Achab approda in Parlamento

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Questo articolo è stato pubblicato il 01 agosto 2010 alle ore 15:34.

Vincenzino Sifullo si svegliò nel modo in cui non avrebbe mai voluto. L'odore salmastro, come di alghe e onda morta di mare, gli carezzò le narici e poi si fece penetrante. Riaprì gli occhi dall'assopimento che lo aveva preso, tra la notte e l'alba, dentro al gippone dei Carabinieri di guardia. Era, come al solito, all'angolo di piazza Montecitorio. E la barca era là, alta con i pennoni e le vele, un poco piegata su un fianco. Grondava di acqua e alghe, e di piccoli pesci, che finivano sul selciato. Al centro della piazza del Parlamento italiano che lui e colleghi avrebbero dovuto sorvegliare.

Sentì il cuore mancargli. Stava per lanciare un grido, e pensò di destare il commilitone Torrisi che ronfava sul sedile di fianco. Ma prima di chiamare il comando con la radio, Vincenzino Sifullo volle scendere per capire se per caso avesse le traveggole. Come aveva fatto ad approdare, sì insomma, a parcheggiare, no, attraccare, oh che cavolo, lì quella vecchia imbarcazione?
«Ehi lei con quella bella divisa! È forse un ammiraglio?» La vociaccia gli arrivò addosso nella penombra dell'alba. Un figuro si sporgeva dal bordo della barca rivolto verso la loro postazione. «Appuntato di complemento...», rispose Sifullo mormorando come in trance. «Cosa? Per Dio, marinaio, avvicinatevi. Siete muto? Sono il capitano Achab, ho bisogno di voi. Questa è l'Italia, no? Paese di naviganti, si dice. Me ne servono un paio di buoni, senza paura. Ehi ammiraglio o cosa diavolo sei, mi senti? Mai visto una baleniera? Ah ah ah!». Achab proruppe in una rovinosa risata alzando la gamba che finiva monca in un legno. Sifullo mise la mano dentro l'auto, scosse la spalla di Torrisi. «Che è, Sifù, uno sciopero delle tonnare?», disse quello, poi quasi svenne.
Per le due ore seguenti, mentre il collega stralunato s'indaffarava a cercare alti ufficiali, corpi di guardia, ros, ris, corpi speciali, insomma qualcuno che desse manforte, Sifullo stette a un piccolo bar con Achab.

Era l'unico aperto. Lo strano tipo parlò dei suoi viaggi e della caccia al cetaceo. Sifullo un paio di volte fu tentato di dire che gli pareva di conoscere quella storia. Quando si aprirono i portoni del Parlamento, il capitano Achab vi trascinò il suo passo che risuonava sull'acciottolato. Sifullo lo salutò come in sogno e volle pagare il caffé. Ma Mario il barista non ne volle sapere. Un caffé al capitano Achab e all'appuntato glielo offriva volentieri. I piantoni sulla porta sbarrarono il passo all'uomo che odorava di mare.

L’articolo continua sotto

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«Sono atteso dall'on. Taldeitali, figlio di una vecchia amica di noi frequentatori di bettole al porto». Quando l'addetto ai pass vide arrivare l'onorevole a prendere lo strano tizio con la gamba di legno che nei venti minuti di attesa aveva incantato i commessi con racconti di fiocine, sangue e schiume, disse con un sorriso unto: «Ah, ora capisco: Achab, la balena bianca, lei dell'Uddiccì, la Diccì...». «Lasci perdere, va'», rispose l'altro. «Andiamo», disse rivolgendosi all'uomo di mare. «Questo si chiama transatlantico», spiegò, mentre dopo innumerevoli sale, specchi, busti scolpiti si trovarono in un lungo corridoio.
Achab non mosse ciglio e l'on. proseguì: «È un tipo di barca, quelle enormi che varcano gli oceani». «Non vedo barche qui. Sei sicuro che qui posso trovare marinai arditi? Velluti e specchi... mi pare un bordello più che un coso per varcar l'Atlantico...». «È un nome metaforico», sorrise l'on. mentre incrociava colleghi in imbarazzo per la presenza dello strano figuro che batteva sul marmo il passo di legno e perdeva acqua. «Ti lascio su questi spalti, potrai vedere i lavori», disse lasciandolo tra palchi da teatro che si aprivano su un emiciclo di banchi in legno. Una classe di ragazzetti foruncolosi con molte chewing-gum si mise a sedere vicino ad Achab. La prof. che li accompagnava lo guardò con ribrezzo. E lui sorrise con la sua bocca cavernosa, facendole un gestaccio. I ragazzi risero ma lei li zittì. «Basta, inizia la seduta del nostro Parlamento».

Achab guardò giù. Regnava in quel posto un'aria svogliata e affranta. Iniziarono i lavori. Ma già dopo pochi minuti Achab se la ronfava della grossa. E il russare fragoroso pervadeva i banchi lassù e scendeva in basso. Il presidente mandò un messo. Ma Achab strattonandolo iniziò a gridare: «Voi laggiù! Sono il capitano Achab!». In basso ci fu qualche espressione smarrita. Un paio di signorine ben vestite sembrarono pesci rossi che guardavano da sotto il pelo dell'acqua l'uomo veemente che si sporgeva come dal bordo di una nave.
Partì un applauso, poco convinto, poi fu generale. «Ma che è, un leghista?», mormorò uno al vicino. «Chi se la sente di affiancarmi nella caccia al grande cetaceo? Avete cuore sotto le cravatte?». Alcuni rivolti in su mormoravano tra loro «Cetaceo? ma che sta a ddi'?». Achab continuò quasi gridando: «Non lo state cercando? Ah, vili! mille volte vili! altro che paese di marinai!».
La confusione s'impadronì della sala, qualcuno gridava cose senza senso. «Marinai, giusto! il governo fa promesse da marinaio!». Oppure: «Sì, cerchiamo il cetaceo sommerso, il regista occulto delle stragi d'Italia!». «La troveremo noi l'unità vera d'Italia!». «Noi usciremo dalla crisi, disincaglieremo la grande barca del paese!». Sembravano marinai ubriachi. Ma Achab tuonò con la voce che era abituata a sovrastare le alte onde delle tempeste o le schiume sollevate dall'immenso misterioso cetaceo che gli rubò la gamba: «Voi non lo cercate! E non sapete nemmeno di cosa parlo! Ah! voi non sapete cosa è! Non lo cercate, e siete confusi... Che ciurma... Ah ah ah ah!».

In quel momento fu avvicinato da uno dei commessi che gli chiese se un paio di onorevoli, uno della maggioranza e uno dell'opposizione potevano conferire in privato con lui. «Confe...cosa?», farfugliò Achab sputando tabacco. Achab accolse i due in successione fumando la sua pipa, per l'orrore della prof, e posando lo stivale dell'unica gamba sul velluto di un divanetto. «Almeno del buon rhum ce l'avete qui?», chiedeva.
Il tizio che ora si trovava di fronte era elegante ma sudava molto. Era emozionato, forse aveva letto il romanzo. «Caro signor Achab, noi dell'opposizione... Anche noi, come lei, siamo in una grande traversata e, ecco, avremmo bisogno di trovarlo, sì insomma, il cetaceo. Lei intendeva questo no, poco fa? La formula politica per rovesciare finalmente questo governo di fascisti, mafiosi e...».
Achab lo interruppe con un fragoroso: «Ma di cosa mi stai parlando? Ringrazia Iddio che non ti arpiono e scaravento giù...». L'onorevole impallidì, e balbettando qualcosa arretrò fino a scomparire. Si presentò un altro, ben vestito, profumava di violetta. Achab fece una smorfia. «A noi piaci. Sei dei nostri. E certo l'avventura di ricerca del cetaceo, eh che nobiltà... Una grande allegoria certo...». Achab grugnì qualcosa di poco educato. Tipo: vieni al dunque, cicciobello. Ma l'altro sostava come a volere che Achab svelasse qualcosa. Poi mellifluo: «Vede, il nostro presidente non può permettersi che la cosa, insomma, il cetaceo, quel che lei cerca a nome di tutti noi, ecco, non lo trovi lui».
Qui il tono s'indurì: «E prima di tutti gli altri, s'intende». Achab tirò dalla pipa, gli soffiò il fumo in viso. «Per me potete finire tutti in pasto agli squali. Se venite nella mia ciurma bene, ma comando io». L'altro s'irrigidì. «Se è tutto...», e uscì lasciando una scia lieve di profumo dolciastro.

Vincenzino Sifullo stava smontando il turno quando vide uscire Achab da Montecitorio. Parlava da solo, agitava le braccia. Umore nero. «Macché Italia di marinai, macché avventurosi! Mammolette, mah!». Salì sulla barca che, fotografata da turisti giapponesi e tenuta d'occhio da due pattuglie di vigili, si mosse in un fragore di catene e schiocchi di corde, cascate di vele. «Se ne va, dottò?», chiese l'appuntato, «E se io...». «Sali Vincenzino, qui siamo a Roma, qualche altro esperto di barche e di viaggi avventurosi ci dev'essere». Sparirono dalla piazza scendendo per via del Corso e poi via chissà dove. Si sentirono per un po' le urla di Achab. «Sifullo vai al fiocco! Non è lontana! lo sento!». Scomparvero nel nulla che sembra inghiottire ogni cosa. Ma all'uscita alla spicciolata degli onorevoli a fine seduta, si notava in certi sguardi un che di vagamente acceso, forse un'inquietudine, una strana luce, come riflessi lontani di mare.

LA STORIA
Al capitano Achab, coraggioso uomo di mare, il mostro marino Moby Dick, qualche anno prima, ha maciullato una gamba e inferto dolorose ferite. Il capitano con il passare del tempo nutre un odio sempre più viscerale per l'enorme balena bianca, nella quale vede il simbolo del male e delle cieche e brutali forze della natura, tanto che decide di darle la caccia per ucciderla. Assolda così un gruppo di uomini, tra cui vi sono gli ufficiali Starbuck, Stubb e Flask e i ramponieri Quiqueg, Tashtego e Deggu, e salpa dall'isola di Nantucket, nel Massachusetts, a bordo della baleniera Pequod. Inizia così la caccia al mostro marino, ricca d'imprevisti e avventure. Moby Dick accetta la sfida e dopo aver distrutto le scialuppe, spezza la nave mandandola a picco, trascinando il coraggioso capitano negli abissi oceanici.

IL ROMANZO
Moby Dick è un romanzo pubblicato nel 1851 dallo scrittore americano Herman Melville. È stato tradotto in italiano dallo scrittore Cesare Pavese. All'epoca della sua prima pubblicazione, il libro non incontrò un'accoglienza favorevole, ma è oggi unanimemente riconosciuto come uno dei capolavori della narrativa americana e mondiale. Il testo è ricco di simbolismi, metafore ed esplora tematiche complesse. Attraverso il viaggio di Achab si veicolano messaggi sociali, sul conflitto tra bene e male, sull'esistenza di Dio.

IL REVIVAL DI MOBY DICK
Numerosi registi si sono ispirati alle peripezie del capitano Achab: in The Sea Beast (1926) diretto da Millard Webb è interpretato da John Barrymore; poi c'è Moby Dick (1956) di John Huston con Gregory Peck; Moby Dick (1978) di Paul Stanley con Jack Aranson; e il più recente è Moby Dick (1998) di Franc Roddam, interpretato da Patrick Stewart.

CURIOSITÀ
Acab (o Achab, o Acabbo) fu uno dei sovrani del regno d'Israele, dal 875 al 852 a.C. Nella Bibbia le vicende del re Acab sono raccontate nel primo dei Libri dei Re (dal capitolo 16 al 22). Fuori del racconto biblico, comunque, sono riconosciute le sue doti militari: nella battaglia di Qarqar (853 a.C.) riuscì a fermare i potentissimi Assiri e a frenare la loro espansione verso il Mediterraneo.
Oltre all'allusione biblica di Melville in Moby Dick, le vicende del profeta Elia e del regno d'Israele durante il regno di Acab costituiscono anche la trama di Monte Cinque, romanzo di Paulo Coelho del 1996. E nell'opera incompiuta Una tragedia fiorentina di Oscar Wilde la vicenda di Acab viene citata dal protagonista Simone, per riassumere l'invidia della città di Firenze verso il principe Guido. Il film. Diretto da John Huston con Gregory Peck nei panni del capitano Achab (1956) Herman Melville. Autore di «Moby Dick»

LE PUNTATE PRECEDENTI

01)Cosimo de' Medici, l'astuto grande mediatore (di Tim Parks)

02 )George Orwell, scrittore militante allergico al conformismo (di Andrea Romano)

03)Matteotti, la politica al servizio dei più deboli (di Sergio Luzzatto)

04)Quando la poesia modernizza un paese (di Franco La Cecla)

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