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Questo articolo è stato pubblicato il 01 agosto 2010 alle ore 14:31.
La narrativa migliore è quella in cui il proprio tempo si traduce in lingua, stile, visione critica, invenzione di personaggi (recentemente Roberto Bolano e David Forster Wallace). A volte il «proprio tempo» può diventare una prigione, però ripropone ogni volta in una forma nuova i dilemmi eterni della condizione umana. Ed è un'impresa affascinante riuscire a mostrare quella "forma" (ovviamente ciascuno con la propria personalità, i propri modi espressivi, il genere a lui congeniale ecc.). Per quanto riguarda la nostra narrativa provo a fare qualche nome, con la premessa che avere meno di 40 anni non significa essere delle "grandi promesse", dato che tutti i maggiori autori del canone occidentale hanno scritto i loro capolavori prima dei 40...
Cristiano De Majo e Francesco Longo si confrontano intrepidamente con la irrealtà liquida della Rete (Caterina Venturini in modo più ludico). Alessandro Leogrande, come Saviano e forse con più consapevolezza letteraria, mette in scena la cronaca per estrarne la verità meno ovvia. Silvia Avallone ha un sicuro talento affabulatorio, insidiato qua e là da certe levigatezze un po' Scuola Holden. Sarei invece tentato di inserire Nicola Lagioia nel filone di quanti si affidano allo stile dell'intelligenza, il quale genera da sé racconto e idee. Il ritmo contratto di Giordano Tedoldi svela una cattiveria irrimediabile. Se Andrea Di Consoli ci mostra un Sud poco convenzionale e quasi luogo dell'anima, Ivan Cotroneo riesce a raccontare con grazia e humour lieve il ventre di Napoli. Matteo Di Nucci tratta frontalmente il fantasma italiano per definizione, la famiglia. E se Peppe Fiore con una prosa quasi espressionista stravolge il reale per rivelarne il nucleo intimo, da Matteo Marchesini – poeta, critico, saggista, autore di racconti – mi aspetto almeno un libro di narrativa importante nei prossimi anni.
Dunque, diffidate di etichette effimere (tipo il «neo-neorealismo») e di dichiarazioni di poetica. Conta solo una cosa: sentire che la lingua dell'autore non si libra gratuitamente in un vuoto irrelato ma vince una resistenza che qualcos'altro le oppone (chiamatelo pure «realtà», «esperienza», «opacità del mondo» o come volete).