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Questo articolo è stato pubblicato il 01 agosto 2010 alle ore 08:05.
di Angela Vettese
L'arte copia la realtà. Contro una simile affermazione ci si è molto affannati nel Novecento, soprattutto in difesa dell'arte astratta e al fine di giustificare immagini deragliate come quelle prodotte dai surrealisti. Ma poco a poco la vis polemica è passata e si è tornati a considerare, appunto, come la relazione tra arte e realtà sia irrinunciabile. Già Robert Rauschenberg diceva, negli anni Sessanta, di volere agire nella piega che separa i due mondi. Il punto che ci si presenta oggi è comprendere come i due universi si tocchino, dopo la fine della copia dal vero. Ammesso che sia mai stata una pratica prevalente, giacché i soggetti religiosi o mitologici lo negano.
A riproporre la questione è Keeping it Real, una serie di piccole ma significative mostre presso gli spazi rinnovati della Whitechapel di Londra, con quattro successivi passaggi e oltre sessanta opere prestate dall'importante collezione Daskalopoulos. La rassegna parte idealmente dal ready made di Marcel Duchamp e in particolare dall'orinatoio ribaltato, firmato R. Mutt e rinominato Fontana (1917), che generò un grande scandalo a New York. Per anni si è guardato a quell'opera, e in generale agli oggetti che l'artista francese presentava dopo averli più o meno "rettificati", come momenti di provocazione. Oggi è possibile tornare a considerarli da un altro punto di vista, cioè come il riaffermato desiderio di mettersi in relazione con il vero per offrirne una lettura inconsueta. Ribaltare di 90º un pissoir significa non solamente privare l'oggetto del suo aspetto funzionale, ma anche invitare a guardarlo in quanto forma e manufatto. Non è dunque casuale che Sherrie Levine lo abbia fuso in bronzo, riportandolo a uno dei materiali della tradizione scultorea: ogni cosa comune, se si muta il modo di guardarla, può diventare l'occasione per una riflessione. Certo, in questa piccola grande rivoluzione è andata persa la consuetudine a scegliere soggetti aulici. Il Novecento ha introdotto nel fare arte (come nel fare Storia) anche l'ovvio, il quotidiano, il frammento.
«Act 1: The Corporeal» presenta lavori su questa lunghezza d'onda ma tesi a parlare del corpo: compare per esempio il torso di Robert Gober che rappresenta metà maschio e metà femmina e che, pur nel realismo assoluto delle due parti, genera un profondo disappunto emotivo. Lo stesso accade nella ragazzina sospesa di Louise Bourgeois, anch'essa connotata dalla deformazione, nelle stampe di Jim Hodges realizzate con la saliva nelle installazioni di David Hammons, Sarah Lucas, John Bock tra gli altri. Disagio anche per le figure di Sue Williams, da cui traspare la sua stessa biografia di ragazza stuprata.