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Questo articolo è stato pubblicato il 01 agosto 2010 alle ore 14:30.
Strano paese l'Italia dove, da un lato, è al potere la più vecchia gerontocrazia occidentale (un primo ministro di 74 anni), e dall'altro, almeno nell'ambito editoriale, sembra dominare la sindrome-Giordano: scoprire e lanciare esordienti sotto i quaranta, meglio ancora se venti o trentenni, e magari avvenenti (è il nostro anche il paese dell'imperante lolitismo, mascherato, ma non troppo). Non ho mai creduto alle generazioni nella letteratura, a meno che esse stesse si proclamino come tali facendo di questo una bandiera. Le generazioni sono un effetto della leva militare, della guerra; è lì che è nata l'idea della giovinezza come forza del mondo.
Dalla guerra al mercato, come dimostra il culto dei teenager, formula coniata in America nel 1943. Detto questo, provo a fare solo due nomi tra i tanti che ci sono: Paolo Zanotti e Andrea Tarabbia. Il primo del 1971, saggista e studioso di letteratura, il secondo del 1978, russofilo e collaboratore di riviste online. Due romanzi: Bambini bonsai (Ponte alle Grazie) di Zanotti e La calligrafia come arte della guerra (Transeuropa) di Tarabbia. Perché proprio loro in mezzo a un manipolo assai vasto di scrittori già bravi, se non bravissimi (Christian Raimo, Veronica Raimo, Nicola Lagioia, Gabriele Pedullà, Gianluigi Ricuperati, Laura Pugno, Giorgio Vasta, Luca Ricci, Valeria Parrella eccetera)? Perché sono due autori apocalittici, visionari, capaci di darci una lettura esasperata della nostra realtà. I loro libri non saranno perfetti, ma fanno pensare, accendono la fantasia e soprattutto danno un benefico senso di stordimento.
Continuo a credere che l'età non sia indispensabile per raccontare qualcosa del mondo giovanile, su cui siamo continuamente informati da inchieste giornalistiche e dal sentito dire in cui viviamo immersi. Non è forse vero che il romanzo più bello e desolante sul mondo dei college americani, vero brodo di cultura di Abu Ghraib, l'abbia scritto non un neolaureato di Harvard, Yale o Stanford, o un brillante scrittore trentenne, bensì un settantenne di nome Tom Wolfe con Io sono Charlotte Simmons? Provare per credere.