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Questo articolo è stato pubblicato il 09 agosto 2010 alle ore 20:16.
Se c'è una cosa che accomuna i nati in Italia dopo il 1970 è l'eccezionalità del contesto, e cioè il fatto di essere cresciuti in quello che – ultimo o penultimo invitato alla tavola delle grandi potenze democratiche – è diventato neanche troppo lentamente un paese del secondo mondo. Bene, l'ho detto: "secondo mondo", e con questo spero di aver contribuito a rompere il tabù di chi ritiene che l'uso di eufemismi quali "difficoltà" o "arretramento" abbia un valore apotropaico, o peggio ancora di chiunque voglia convincerci che seminando il vuoto a rendere dell'euforia fine a se stessa cresca l'albero della cuccagna.
Capisco che sia dura da accettare per coloro che, sospinti dall'onda del vecchio boom sullo scranno di una qualche docenza universitaria, alta dirigenza, segreteria di partito, hanno scambiato col trascorrere degli anni la propria inamovibilità per autorevolezza, e dunque la putrefazione per progresso. È per questo che proprio non me la sento di dare l'onere di chiamare le cose col proprio nome alla generazione dei Tommaso Padoa-Schioppa, l'ex ministro figlio dell'amministratore delegato delle Assicurazioni Generali a cui solo un Edipo non risolto può avere suggerito un giorno la parola: «Bamboccioni».
In questo modo è più facile che le parole "secondo mondo" le possa pronunciare senza troppe crisi isteriche chi, come me, non aveva avuto il tempo di ricavarsi un posto al sole quando il vento ha iniziato a cambiare; chi, tanto per dirne una, ha frequentato un'università che di competitivo aveva ormai solo i bidelli che facevano a gara per chiederti una mancetta di cinquantamila lire dopo averti fotografato durante la sessione di laurea.
Nessuna università italiana tra le prime 100 secondo l'Academic Ranking of World Universities. Settantatreesimo posto alla voce libertà di stampa secondo il rapporto di Freedom House, dietro la repubblica presidenziale del Benin e in coabitazione con Tonga... Non continuerò con le classifiche. Troppe da elencare, troppo univoche, e perfino noiose: era solo per rendere il concetto; allo stesso modo non farò l'avvocato del diavolo che brandisce il vessillo del Pil pro-capite adeguato alla parità dei poteri d'acquisto (un dignitoso ventisettesimo posto nel 2009 secondo il Fmi, dietro Belgio, Francia, Spagna...) perché questi calcoli vivono sotto il ricatto di troppe variabili, e soprattutto perché ad esempio gli Emirati Arabi hanno un reddito pro capite che straccia il Regno Unito ma basterebbe spostarsi sul versante dei diritti umani per non definirli un paese del primo mondo.