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Questo articolo è stato pubblicato il 26 agosto 2010 alle ore 08:06.
Arrampicato sulla scala, scalpello in mano, un muratore gratta i mattoni rossi a uno a uno: e pian piano il muro acquista il look inconfondibile delle aree industriali rimesse a nuovo, vecchie ciminiere e design ultramoderno, formula vincente nei distretti creativi di New York o Helsinki, Londra o Berlino. Siamo a Mosca, però: le zone industriali occupano un quinto della città, immenso patrimonio che si schiude man mano che il comune trasferisce la produzione fuori porta.
Ma l'era post industriale qui è giovane, le aree dismesse di cui il mondo della cultura si impadronisce per dare sfogo alla creatività sono realtà recenti, isole che la città ancora non sa bene come accogliere. «Nascono in luoghi che ormai erano non-luoghi, spazi fuori dal tempo – dice Serghey Nikitin, professore universitario di Architettura e storia di Mosca – fabbriche sprofondate in una città per cui non avevano più alcuna importanza, relitti di un'altra epoca».
Come Winzavod, fabbrica ottocentesca del vino nei quartieri orientali della capitale russa, acquistata dal magnate dei trasporti Roman Trotsenko, trasformata dalla moglie Sofia in un intreccio di spazi espositivi, studi artistici, gallerie d'arte. Eppure, fa notare Nikitin, ha ancora un'aura nostalgica, un senso di abbandono. Il passato non è troppo lontano. È soltanto da due anni che la fabbrica di cioccolato più venerabile dell'Urss si è trasferita. Krasnyj Oktiabr – Ottobre Rosso – ha sfornato konfetki sull'isola davanti al Cremlino dal 1867. Fornitore della casa imperiale, nazionalizzata (e ribattezzata) nel 1922, di nuovo privatizzata nel 1922. Un gioiello di archeologia industriale: è sopravvissuta in una città che snobba l'antico autentico, e ama distruggere e ricostruire in quello che ora chiamano "stile Luzhkov", dal nome del sindaco che ha rifatto a tempo di record perfino l'enorme Cattedrale di Cristo Salvatore, identica all'originale.
«È ancora la vecchia mentalità sovietica, dover sempre costruire qualcosa di nuovo – osservava l'architetto Bart Goldhoorn aprendo la Seconda Biennale di Architettura, a Mosca nel maggio scorso – ma ora dobbiamo gestire ciò che esiste, costruire sopra quei resti per migliorarli». Ma a Mosca si bada ancora più al profitto che a preservare i tesori del passato: questa non è una priorità per il governo. Avevano progettato di radere al suolo il quartiere per costruire più redditizi appartamenti di lusso, ed è stata la crisi, frenando diversi progetti, a fermare le ruspe. E a salvare Krasnyj Oktiabr. Ne hanno approfittato i fondatori di Strelka, Istituto di Media, Architettura e Design, il cuore della riqualificazione del quartiere: un'iniziativa che vuol dare alle nuove generazioni russe un luogo consacrato alla ricerca di un ambiente urbano più vivibile. I promotori – tra cui un immancabile oligarca, Aleksandr Mamut – presenteranno la scuola oggi a Venezia, nell'ambito della Biennale.