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Questo articolo è stato pubblicato il 27 agosto 2010 alle ore 08:08.
Lo studio di Luca Massimo Barbero al Macro, il Museo d'arte contemporanea Roma, è spoglio e severo, fuorché intorno alla scrivania: lì infatti il giovane, dinamico direttore che in poco più di un anno è riuscito a portare in museo oltre 145mila persone, si è allestito una sorta di "autoritratto" cifrato. Alle spalle, una fotografia di Claudio Abate che documenta la mostra delle Armi di Pino Pascali e, sul tavolo, un alieno specchiante di Massimo Lunardon «perché quando sono sbarcato a Roma mi hanno detto che, con i miei ritmi, qui parevo un marziano». Nei 14 mesi della sua innovativa direzione il Macro ha inaugurato 21 mostre, tra la sede di via Reggio Emilia e il Testaccio; ha conquistato un pubblico entusiasta, di giovani soprattutto, ma non solo; si è guadagnato la curiosità generale, tanto che ormai in città ci si domanda «che cosa accade al Macro». Ed è riuscito («grazie alla volontà dell'amministrazione pubblica di Roma e all'entusiasmo della nostra piccola squadra» dice Barbero) a presentare a maggio il cantiere del nuovo, bellissimo corpo progettato da Odile Decq, su via Nizza (si aprirà entro l'anno), oltre a otto mostre e alla nuova megainstallazione permanente di Daniel Buren, in contemporanea con l'inaugurazione del Maxxi, richiamando 12mila visitatori in tre giorni.
Inevitabile la domanda: due musei del contemporaneo a Roma, entrambi progettati da archistar e nessuna rivalità? «Nessuna – ribatte Barbero – e non solo con il Maxxi ma nemmeno con la Gnam, che ha una collezione straordinaria. Roma ha un bacino di milioni di persone ed è vitale coordinarci, collaborare. Anzi, l'obiettivo desiderato sarebbe creare un circuito integrato delle opere, a cui attingere per le mostre di ognuno. Le collezioni si possono costruire in vari modi, al di là della proprietà, e il mostrarle è il "servizio" fondamentale di un museo».
Le 145mila presenze in 14 mesi smentiscono poi un altro luogo comune: che l'arte contemporanea non faccia pubblico, specie in una città come Roma. «Al contrario – rincara Barbero – la città ha risposto con una partecipazione incredibile, si è mostrata curiosa, reattiva e di questo ringrazio i romani e il pubblico. Anche se non nego di essere molto preoccupato per i recenti tagli alla cultura: un danno gravissimo per l'intero sistema dell'arte». A stimolare la curiosità del pubblico è stata la programmazione, mai facile, sempre aggiornata e stimolante: «credo che il compito primario di un museo sia formare anche un nuovo pubblico, responsabilmente. Noi programmiamo più mostre in contemporanea ed è proprio questa varietà dell'offerta che ha funzionato». Non a caso il «Financial Times» ha parlato del Macro come di un modello da imitare.