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Questo articolo è stato pubblicato il 29 agosto 2010 alle ore 08:05.
di Gabriele Neri
È la coppia formata dal tedesco Matthias Sauerbruch e dall'inglese Louisa Hutton a vincere il concorso internazionale promosso dalla Fondazione Venezia per il nuovo Museo del '900 di Venezia-Mestre, che ha visto fronteggiarsi architetti ben allenati su museografia e dintorni: Massimo Carmassi, David Chipperfield, Pierre-Louis Faloci, Eduardo Souto De Moura e Mansilla+Tuñon.
Il nuovo complesso – subito battezzato «M9. A New Museum for a New City» – è dedicato alle grandi trasformazioni demografiche, sociali, economiche, urbanistiche e ambientali che hanno caratterizzato la città durante il secolo scorso: su questi temi infatti Mestre e la terraferma veneziana – che oggi formano un'area metropolitana con più di 2 milioni di abitanti – rappresentano un caso di studio esemplare, con una lunga storia legata a immigrazione ed emigrazione, al polo industriale di Marghera, alla più alta densità imprenditoriale d'Europa e a molto altro ancora.
Dal momento che per documentare la complessità di questi processi in un secolo come il Novecento è necessario affidarsi alle fonti più variegate – dalla carta stampata ai fondi radiofonici, dalla fotografia ai telegiornali, dal materiale pubblicitario alla storia orale eccetera – il programma del nuovo polo culturale è partito sollevando il seguente interrogativo: «Si possono realizzare musei con dotazioni modeste o nulle di reperti, talvolta neppure originali, lavorando su patrimoni immateriali, editando supporti audiovisivi, creando installazioni sonore e olfattive, rielaborando le informazioni raccolte da fonti disparate, accomunate dall'assenza di fisicità?». Domanda più che lecita, specie nell'era del virtuale, alla quale si è contrapposta invece la fisicità del contesto prescelto per il nuovo museo, segnato dall'ex caserma Matter e dall'ex complesso conventuale delle Grazie, stravolto da decenni di incuria.
Il bando di concorso – stilato da una commissione tecnica coordinata da Francesco Dal Co – ha dunque richiesto un confronto serrato tra nuovo e antico, al fine di recuperare l'esistente e di inserire chirurgicamente episodi architettonici ex novo per ospitare spazi espositivi, spazi di servizio alle attività culturali, un auditorium e superfici commerciali, su un'area complessiva di circa 9mila metri quadrati. Il tutto ovviamente accompagnato da una profonda riflessione su accessi, funzionalità, vivibilità.