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Questo articolo è stato pubblicato il 30 agosto 2010 alle ore 19:00.
La Sicilia non esiste, diceva Gesualdo Bufalino. Ci sono cento Sicilie e ognuna ha altrettante interpretazioni. Quella evocata nello spettacolo «Instrument 1 - scoprire l'invisibile», non è un viaggio dentro alcuni dei suoi luoghi comuni come potrebbero far pensare l'uso del marranzano e la sequenza iniziale. Nella costante penombra della scena, un gruppo velato e dalle gonne strette, rigorosamente in nero come nella più stereotipata tradizione, avanza battendo i tacchi ad intervalli ritmati.
Queste sagome femminili si bloccano, scrutano, sospirano. Si inginocchiano, siedono a terra, si fanno il segno della croce, mandano baci, gridano. Le loro movenze sono di donne, di vedove luttuose che snocciolano litanie di gesti trattenuti, pudichi. Se non rivelarsi, in realtà, tutti uomini nello strappo improvviso dei vestiti che li denuda sotto una luce di colpo abbagliante e di una canzone pop allegramente ironica con la quale ammiccano col pubblico.
Dunque, sotto il vestito niente, altre identità a spiazzare - da questo momento, e in avanti, dello spettacolo - qualsiasi stereotipo sulla sicilianità. Eppure il catanese Roberto Zappalà, coreografo e danzatore di respiro europeo, non rinnega la sua terra, fonte d'ispirazione del suo fare danza. Anzi, vi è fortemente radicato. E da vent'anni ha creato una sua compagnia e un luogo, Scenario Pub.bl.ico, invidiabile centro per le arti performative, dove la danza contemporanea vive di ricerca, produzione e formazione. E ospitalità. Qui sono transitati Emio Greco,Wim Vandekeybus,Michele Abbondanzae Antonella Bertoni, solo per citare alcuni nomi. Gli spettacoli che qui sono nati hanno girato il mondo. E da sette anni è sede di un importante festival di danza, Uva Grapes, unico nell'isola.
Il festival ha aperto con «Instrument 1- scoprire l'invisibile», prima tappa di una trilogia in cui Zappalà libera il movimento dalla drammaturgia per soffermarsi sul corpo nella sua relazione con il suono, il rumore, la musica. L'idea drammaturgica, per il coreografo è solo l'origine di un'estetica per approdare ad uno stile di danza. In «Instrument 1» egli sublima le logorate immagini di credenze, concetti e abitudini della Sicilia attraverso una danza pura, vigorosa, d'urto, che segue e incalza le vibrazioni del marranzano dalle inedite e innovative sonorità. Sulla musica dal vivo dei tre Lautari i sette danzatori, dalle tuniche color terra, intrecciano scatti felini, nervosi, velocissimi, con pose scultoree, languide movenze, corse affannose che cedono il passo a soste che immobilizzano le membra in un'arcaica attesa. È l'inerzia a staccarsi da terra, a intraprendere attività, a distillare il tempo. Ma appena il balzo è fatto, l'energia esplode, corale o solitaria, furibonda. E determina relazioni, scompagina le traiettorie.