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Cultura-Domenica Ventiquattro

Romina sulla strada

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Questo articolo è stato pubblicato il 02 settembre 2010 alle ore 15:11.

Chi smentisce una bugia e dice una verità un po' salva il mondo. Romina Novelli ha quarant'anni, il fisico asciutto, un brillantino su un canino e una ciocca di capelli viola che spunta da un carrè nero. Fondamentalmente di salvare il mondo non gliene importa un granché. Però ogni giorno smentisce una piccola bugia, e con il suo camion porta a spasso per la pianura Padana la sua verità quotidiana: non è vero che guidare uno di questi bestioni sia roba da maschi nerboruti. Può anche essere affare da donne. Così, per smentire, senza farci troppo caso, uno stereotipo bugiardo, Romina si sveglia ogni mattina verso le quattro e mezzo, esce di casa prima delle sei, inforca la sua stradina stretta con un Daf Xf 95, un gigante olandese da 46 tonnellate, e imbocca l'autostrada.

Da lì, dalla cabina linda e ordinata del suo camion, in cui fanno bella mostra di sé grappoli da sei di Arbre Magique alla vaniglia, Romina guarda i Suv più sfarzosi da due metri di altezza e li vede farsi piccoli come automobiline dei fumetti. Dietro di lei, sul rimorchio, c'è la "vasca", un enorme cassone di volta in volta pieno di sabbia, terra, detriti, fanghi. «Il mio percorso - racconta - è sempre uguale, anche se cambia tutti i giorni. Io non faccio "linea", i viaggi lunghi, ma mi muovo qui intorno, tra Ravenna e Modena. Preferisco così. Alla sera voglio tornare, farmi la doccia e dormire nel mio letto».

La giornata a dodici ruote di Romina comincia nel cortile davanti a casa, fuori Ravenna, con il camion carico di feldspato, una sabbia fine e ruvida che si impasta con l'argilla per farne piastrelle. La prima veloce sosta è all'autogrill di Sant'Eufemia, quello che s'incontra uscendo da Ravenna verso nord, dove Romina ha un conto aperto e si ferma a fare colazione solo con un caffè. La destinazione è a due ore di autostrada, a Campogalliano, nel modenese, alla prima fornace. Poi, con la vasca vuota, Romina sale in collina, a Roteglia, in provincia di Reggio, a caricare altra sabbia in cava, torna giù e scarica ancora. Quando la sua giornata sembra finita il cellulare suona e le viene assegnato un altro viaggio, a Massa Lombarda, vicino a Imola. «Il mio è un lavoro così. Ci sono i colleghi che partono la mattina, vanno a Rotterdam e stanno in pace tutto il giorno. Io invece c'ho da esser veloce, e far la spola».

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A ogni sosta la trafila è sempre la stessa: la coda dietro agli altri camion per entrare nella cava o nella fornace. Poi lo slalom in un paesaggio lunare tra gigantesche dune di feldspato, terra o argilla. Un pezzo di luna che diventerà piastrelle. Romina guida il rimorchio con una disinvoltura sconosciuta alle sue coetanee su Smart. Parcheggia, fa la trafila delle bolle, pesa il camion prima pieno e poi vuoto (o viceversa), scambia qualche battuta con i colleghi, che un po' ci provano e un po' non oserebbero mai, rimonta in cabina e riparte.
Nel corso di una giornata il suo itinerario cambia all'improvviso due o tre volte. «Adesso pensavo di fermarmi, invece no - dice, alternando indicazioni stradali e imprecazioni varie -. Devo andare a caricare terra e detriti e portarli in un'altra fornace, a San Pancrazio, vicino a Lugo». Poi, con il rimorchio vuoto, fa inversione e si avvia al porto di Ravenna, passa attraverso la città industriale, l'Enichem e i container impilati uno sull'altro, e carica altro feldspato.

Sono quindici anni che Romina gira per cave e cantieri. La conoscono tutti. «Mi sa che mi vogliono anche bene. Certo le prime volte facevano la faccia strana, mi trattavano un po' come una tipa diversa, una con chissà quali idee in testa. Qualcuno avrà anche pensato che fossi lesbica. Ma il giochino è durato poco, così dopo un po' si sono stufati e a me non hanno fatto più caso. Anzi, si sono affezionati».
Dev'essere vero, visto che il Cb, la radio con cui i camionisti comunicano tra loro, non tace un attimo: «Romina? Perché non mi hai salutato?», chiede piccato uno che l'ha appena incrociata. «Ciao Romina, sei sempre più bella», provoloneggia un altro. Anche Germano non smette di parlarle al Cb. È il suo migliore amico, un romagnolo verace di quelli che mettono allegria solo a sentirli. I due parlano di lavoro, di strade trafficate, di cave, ma anche dei fatti loro, del fidanzato di lei o della moglie e dei figli di lui. Germano le consiglia che percorso fare per trovare meno traffico, le dice dove si sono appostati i carabinieri. «Pensano tutti che stiamo insieme - spiega lei - invece siamo amici e basta». Quando i loro percorsi lo consentono, si danno appuntamento per il pranzo. Lui mangia come un camionista, appunto, lei no, «un'insalata e un caffè, ci tengo alla linea».

Un fidanzato vero, che non è Germano, Romina ce l'ha. «Guida il camion anche lui, ma non ci incrociamo mai, lui fa un altro giro, va verso Treviso. Io lo chiamo ancora il mio moroso, ma non so se ancora posso. Dice che ha bisogno di una pausa. Speriamo che torni. Secondo me lui è quello giusto». Anche se fosse, e se tornasse, non sarebbe per metter su famiglia. Romina non ha e non vuole figli. «Non c'è mai stata la situazione giusta. Prima ero troppo giovane, ora troppo vecchia. Il momento è scappato e io non ero lì».

Benché rare, le donne in camion non sono così poche. Le patenti C e D (quelle che abilitano alla guida di pullman e corriere) assegnate a donne sono circa il dieci per cento del totale e, di recente, la presenza femminile si sta affermando anche all'interno delle associazioni di categoria. Cinzia Franchini e Angiolina Mignoli, per esempio, ricoprono la carica di vicepresidente vicario della Cna-Fita, l'Unione nazionale imprese di trasporto. Alcune hanno anche creato un blog, La buona strada, con il quale si tengono in contatto fra loro. «Con Gisella, che si è inventata lo pseudonimo di Lady Truck, ci siamo anche messe a fare calendari per la ricerca sul cancro al seno. Fra un po' faremo le foto per il quarto anno consecutivo».

Sul primo camion della sua vita Romina ci è salita per caso. «Ho cominciato con il mio moroso, quello dell'epoca, che portava in giro il nerofumo, per fare i copertoni. Ogni tanto mi faceva provare a guidare, così per gioco. A me piaceva, a lui, che nel frattempo si era messo in proprio, servivano autisti. È stato tutto molto naturale: ci siamo detti "perché no?". Ho preso la patente C+E, la motrice e il rimorchio, e lui mi ha assunta. La storia d'amore è finita ma il lavoro è rimasto, e anche l'amicizia».

Prima di fare la camionista, o "camionara" come preferisce dire lei, Romina di lavori ne ha fatti altri, ma senza troppa convinzione. «Dopo la scuola ho cominciato a lavar le teste da una parrucchiera, poi ho cucito le borse. Ci sono stata sei anni, ma non faceva per me: in fabbrica devi star lì ferma, non puoi parlare e stai chiusa dentro tutto il giorno. Non sai nemmeno se fuori piove o c'è il sole. Meglio il camion».

A Romina piace il suo lavoro. «Certo un po' di stanchezza si sente. L'anno scorso sono stata operata per un'ernia cervicale, sono dovuta restare ferma otto mesi. E adesso vedo che mi stanco più facilmente di prima. Certe volte mi chiedo se potrò andare avanti ancora tanto a fare 'sto lavoro. Dovrei decidere cosa fare da grande. Ma mi sa che da grande - sorride - voglio continuare con il camion».

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