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Un bolscevico a Hollywood

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Questo articolo è stato pubblicato il 03 settembre 2010 alle ore 08:03.

Lo aveva fatto apposta a mandargli quella cartolina, da quella città e con quel francobollo. Solo per il piacere di immaginare la faccia del destinatario e indovinare l'insulto tra le pieghe delle labbra. Nel 1967 Phil Stern segue la cronaca del Festival del Cinema di Mosca. E dalla capitale dell'Unione sovietica spedisce a John Wayne, «l'uomo più a destra che abbia mai conosciuto, più a destra di Gengis Khan», una cartolina della Piazza Rossa e sul timbro il profilo di Lenin. Al ritorno a Los Angeles, Phil riceve una telefonata. Non c'è bisogno di presentazioni. «Sei un bolscevico bombarolo» si sente urlare dall'altra parte della cornetta. «E tu sei l'uomo di Neanderthal», è la risposta che riecheggia nel salotto di un bungalow vicino alla Paramount. Indirizzo strategico per un uomo, che il prossimo 3 settembre compirà 91 anni, trascorsi gran parte a ritrarre la vita di Hollywood e i suoi protagonisti, come racconta oggi la mostra «Phil Stern. Sulla scena», a cura di Alessandra Mauro, aperta nello spazio Forma, a Milano, fino al 12 settembre.

Sulla scena degli eventi, Phil Stern sale all'inizio della Seconda guerra mondiale, già fotografo per la «Police Gazette», già di sinistra, vista la sua collaborazione a «Friday», settimanale dei lavoratori, e già free lance per «Stars and Stripes», nel 1942, al seguito dei Darby's Rangers, i soldati del colonnello William Darby. Primo ferimento in Tunisia contro l'esercito di Rommel, e di nuovo colpito durante lo sbarco in Sicilia. Le foto sono strepitose, puro cinema, premiato con la medaglia al valore e il ritorno in America, definitivamente sulla costa West. «Life» gli affida un servizio sull'impegno di molti attori a favore dell'esercito. «Ma a differenza di Humphrey Bogart e di John Wayne, io in guerra c'era stato davvero», ricorda Stern. Sono i divi ad ammirare il fotografo. In risposta Phil diventa invisibile, scava trincee nei set, nei camerini e da quel fantastico punto di osservazione sorprende John Huston a caccia di anatre, l'amico John Wayne in minishort a quadretti – icona di ogni estate gay – quindi Bogart sull'altalena con la figlia, Marlon Brando immerso nella lettura, Tony Curtis, a casa, che aiuta il fratello a vestirsi per il bar mitzvah, e poi Marilyn Monroe, sorpresa già nel 1953 triste e spaventata; e ancora Gregory Peck, ritratto dalla finestra dell'ufficio di Samuel Goldwyn a passeggio negli studios e indosso, con immacolata disinvoltura, ha quella camicia bianca che ha fatto la fortuna dell'uomo americano da Clark Gable a Barack Obama.

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Tags Correlati: Barack Obama | Cinema | Gengis Khan | Gregory Peck | John Wayne | Milano | Paramount | Police | Pontiac | Rommel | Samuel Goldwyn | Stati Uniti d'America | Tony Curtis | Triumph | William Darby

 

Nello stesso anno, marzo 1955, in una mattina come tante dopo aver consegnato i rulli al laboratorio di «Life», Stern a bordo della sua Pontiac scende da Crescent Heights Blv, quando all'improvviso, all'altezza di Sunset Blv, un motociclista gli taglia la strada, frenata, la moto cade e la macchina si ferma a pochi centimetri. È l'inizio drammatico di un incontro leggendario. A terra, James Dean e la sua Triumph. Pochi minuti e i due siedono al bancone di Schwab's, per un caffé. «Quel giorno dovevo fare un ritratto a Marlon Brando e Frank Sinatra, impegnati sul set di Bulli e pupe – spiega Phil – e così ho invitato James Dean a seguirmi. Ma all'appuntamento non si è presentato nessuno. Lo studio era a disposizione e allora ho chiesto a Dean se aveva voglia di fare qualche foto». Lui si tira su il maglione, come un oceano da cui emergono solo gli occhi e dal nulla di quel fondale scuro nasce l'immagine simbolo di una generazione e della sua fragilità. Pochi anni e il simbolo di un'altra giovinezza entra nell'obiettivo di Stern. Nel 1961 John F. Kennedy viene eletto presidente degli Stati Uniti. Frank Sinatra, che lo ha sostenuto in campagna elettorale, ha l'onore di cantare alla festa d'insediamento. Phil Stern, da tempo, è il suo fotografo. «Non facevo parte dei suoi amici, ma per qualche ragione si fidava di me. Così ho scritto un biglietto, gliel'ho lasciato in camerino e il biglietto diceva pressappoco così: «Io vorrei fotografare la festa. Per la risposta barra una di queste tre caselle: fuck off, I'll think about it, oppure yes». Sinatra fece una croce sulla terza casella. Niente male per un bolscevico bombarolo.

«Phil Stern. Sulla scena», fino al 12 settembre a Forma, Milano, catalogo Contrasto, pagg. 96, € 35,00, Roma 2010.

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