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Questo articolo è stato pubblicato il 05 settembre 2010 alle ore 17:25.
Tranne due fortunate eccezioni, si ha l'impressione che il concorso della 67esima edizione della Mostra del cinema di Venezia abbia riservato le carte vincenti nella coda. Così è accaduto l'anno scorso per Lebanon di Samuel Maoz e nel 2008 con The wrestler di Darren Aronofsky, quest'ultimo proiettato in tempi addirittura da rigore, quando il Lido è più stracco e si concede qualche assenza ingiustificata dalla sala. Quest'anno la competizione si è inaugurata proprio con il regista che fece tornare sulla scena un deturpato Mickey Rourke. The Black Swann è ambientato nel mondo del balletto, ma per quanto i movimenti siano delicati anche nella tensione estrema, l'ambiente non è diverso da quello quello in cui si era cimentato Rourke: competizione esasperata fino a una mortificazione corporale autodistruttiva. Black Swann – anche per la bravura di Natalie Portman, nel ruolo della ballerina che si sdoppia in cigno bianco e nero – è un film godibile, ma non ha la grazia disperata dell'opera che si guadagnò il Leone d'oro. Forse per questo Aronofsky è ricorso a un bacio saffico e a sesso orale tra donne di cui non si sentiva l'esigenza. Ovviamente tutte le cronache sono scivolate sull'argomento, spia che mancava il resto.
Triangolazioni, baci saffici, scambi di coppia: quando non c'è sostanza si va di erotismo. Anche il secondo giorno ha avuto la sua perversione. Norwegian Wood di Tran Anh Hung, tratto da Tokyo Blues (Feltrinelli, 1997), bestseller che fece migliaia di adepti, racconta la storia di quattro teenagers giapponesi alle prime esperienze durante il Sessantotto. Il regista, altro Leone d'oro, narra triangolazioni amorose, funestate da suicidi, mentre le lotte giovanili rimangono sullo sfondo. Il protagonista, il giovane Watanabe (Kenichi Matsuyama), rifugge la militanza e i cortei, ma si abbandona alla libertà sessuale. Alla fine del sesso,offerto in immagini delicate in mezzo a una natura meravigliosa,rimane ben poco.
Niente di meno seducente invece del sesso consumato tra due coppie che decidono di "aprirsi" e di scambiarsi i partner in Happy Few del francese Antony Cordier. Potrebbe essere un tentativo di scavo pscologico sul fallimento dell'utopia dell'amore libero, ma nemmeno questa tesi, per altro negata dal regista, giustificherebbe il fatto che durante la proiezione si guarda più volte l'orologio. Di noia, ne sa qualcosa Stephen Dorff, protagonista di Somewhere, che si addormenta mentre due gemelle lapdancers si esibiscono in marsina davanti. Peccato il finale, ma Coppola almeno ha inaugurato la stagione della risata liberatoria che è abbondante in La passione di Carlo Mazzacurati, interpretato da Silvo Orlando e Giuseppe Battiston. Le gag si concatenano bene e ci sono spazi anche per belle illuminazioni sociologiche, come quando Battiston si rammarica di non poter bene rappresentare la figura di Gesù per la sua mole fisica. «Anche Gesù oggi sarebbe grasso», gli sussurra il protagonista Orlando. Stesso discorso per Potiche di Francois Ozon, che narra la vicenda di una ricca borghese che ribalta il suo ruolo di statuina. Humor tutto francese con la classe di Ozon e il calibro di Madmoiselle Deneuve e Gerard Depardieu, ma anche qui il posto della pellicola non era la competizione. Su Miral di Julian Schabel di bello c'è la storia di una donna che accoglie i bambini palestinesi, ma è resa in maniera talmente semplicistica da svilire la questione politica.