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Questo articolo è stato pubblicato il 05 settembre 2010 alle ore 20:13.
Nei titoli di testa Tsui Hark si definisce regista-produttore: ed è la descrizione più adatta per una delle superstar del cinema dell'estremo oriente, perché ogni sua regia è anche il risultato di un immenso sforzo produttivo, e la sua fama nel panorama asiatico (e, a questo punto, internazionale) è legata tanto al suo talento dietro la macchina da presa quanto alla sua capacità di raccogliere e utilizzare la meglio budget faraonici, per se' come per i suoi colleghi.
A lui, classe 1950, devono infatti moltissimo alcuni autori affermati come lo stesso John Woo, che proprio in questa edizione della Mostra ha ricevuto il Leone alla carriera. Anche Tsui Hark è un veterano al Lido: i suoi film sono stati presentati dentro e fuori il concorso già tre volte, cui si aggiunge, nella competizione principale, questo Detective Dee and the Mistery of the Phantom Flame, un kolossal da 13 milioni di dollari che si vedono tutti, soprattutto nei quadri d'insieme che sono un misto di grafica computerizzata e opulenta scenografia.
Detective Dee è l'ennesimo film di cappa e spada girato da Hark, ambientato questa volta nella Cina del 689, ai tempi della dinastia Tang: a comandare è una donna, e congiure e intrighi di palazzo si moltiplicano. Al centro della storia un terzetto che ricorda vagamente quello di Harry Potter: un impavido guerriero che è uno degli eroi classici della dinastia Tang, interpretato dal divo d'Oriente Andy Lau, «proprio perché volevo che il pubblico riconoscesse e amasse un personaggio così caro alla storia del paese». Lo affiancano una combattente intelligente e coraggiosa e un ambiguo terzo personaggio che sta a metà fra il coraggioso Ron e il perfido Draco Malfoy, complice anche un improbabile (su un giapponese) capello biondo. C'è anche, in un ruolo minore ma essenziale alla storia, il celebre attore cinese Tony Leung Ka Fai. «Ho lavorato molto con lo sceneggiatore per definire i rapporti fra i personaggi perché c'era il rischio che una produzione così imponente fagocitasse la storia», dice il regista. «Ho anche voluto mantenere un'aura di sospetto e mistero così che il pubblico non capisca chi è il cattivo fino al colpo di scena finale».
I temi cari ad Hark e alla cinematografia di Hong Kong sono ben presenti, dal valore della lealtà alla potenza del destino alla superstizione alimentata da amuleti e talismani, più qualche argomento di più recente interesse, come quello dell'emancipazione femminile in un mondo in cui «la gente non tollera che una donna possa governare». Il tono ironico e beffardo piacerà un sacco a Tarantino, quest'anno presidente di giuria, e le esagerazioni comiche, talvolta degne di Bud Spencer e Terence Hill, si sprecano.