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Questo articolo è stato pubblicato il 07 settembre 2010 alle ore 13:23.
Da molti anni, Marco Bellocchio tiene a Bobbio, sui colli piacentini, dei laboratori di cinema. Invita tecnici e colleghi, gira con i ragazzi in luoghi che sono i suoi, immortalati già nei Pugni in tasca e poi mille altre volte. Alcuni materiali, assemblati, hanno finito quasi da sé col costituire un film «a puntate», girato in varie estati nei decenni, con un suo esile plot che serve a mostrare momenti quasi improvvisati. In una prima versione, intitolato Sorelle, era stato presentato nel 2006: adesso il film è ulteriormente cresciuto, ha ottenuto una forma forse definitiva e viene proiettato fuori concorso.
Sorelle Mai è proprio questo: un filmino familiare travestito da dramma cecoviano, o viceversa. La storia degli eredi di un casale di campagna (Donatella Finocchiaro e Piergiorgio Bellocchio, figlio del regista) che tornano periodicamente, senza sapere cosa farne, sedotti e irritati insieme dal passato borghese scomparso che quel luogo rappresenta, e insieme sperduti negli affetti di un presente in cui non si sa che fare. Il modello evidente è «Il giardino dei ciliegi», con un pizzico di altro Cechov: ad esempio, per la parte teatrale, «Il gabbiano» (già adattato da Bellocchio in un bel film televisivo del 1977, con Laura Betti).
Ma il cuore del film, si direbbe, sono i familiari di Bellocchio che interpretano loro stessi: la figlia Elena, che vediamo crescere di anno in anno, il fratello Alberto che fa un'apparizione nei panni di un preside, e soprattutto le sorelle del titolo, Letizia e Maria Luisa, già viste talvolta nei film di Bellocchio e qui protagoniste assolute di gag buffe e crudeli.
L'unico che non si vede in scena, si direbbe, è proprio Marco. Che però, come è suo solito, è ossessivamente dovunque, in tutti i personaggi e nei loro gesti, nei paesaggi e nei frammenti di suoi film del passato che riappaiono di tanto in tanto, come in un corto circuito.