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Cultura-Domenica Musica

La coppia Corea-Bollani a MiTo. Un'ora e mezza di jazz senza confini e due bis

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Questo articolo è stato pubblicato il 10 settembre 2010 alle ore 13:37.

Rieccolo a Milano, il pianista Stefano Bollani, questa volta in duo al Teatro Ventaglio Smeraldo con il celebre collega italo-americano Chick Corea. Ce lo ha riportato il festival MiTo quarta edizione, con replica immediata al Lingotto di Torino, confermandolo dopo che nel 2008 gli aveva riservato addirittura un «Sei volte Bollani»: cioè il pianista in un lungo concerto dove appariva in sei situazioni diverse, una delle quali insieme con il suo alter ego, il trombettista Enrico Rava.

Forse è il caso di precisare che Corea e Bollani non sono una «strana coppia», come si è letto qua e là. Sono un'invenzione casuale di Umbria Jazz 2009, che ha la cronica preoccupazione di attirare pubblico nella troppo vasta Arena Santa Giuliana di Perugia. I due non si conoscevano, ma il connubio ha funzionato e la voce si è diffusa presso gli enti italiani di concerti e di festival, per cui si possono citare - forse omettendone qualcuno - altri concerti di Corea-Bollani a Verona, Roma, Ravello e da ultimo a Ischia. Dice bene il comunicato stampa di MiTo: i due musicisti, entrambi formidabili sotto il profilo tecnico, appartengono a due generazioni diverse e quindi risentono di maestri del jazz differenti, ma li accomuna «la costante ricerca di contaminazioni fra tradizione classica, jazz, musica brasiliana e canzone italiana, intese come fonti inesauribili di creatività e di improvvisazione».

D'altra parte, tutto questo è ovvio se si pensa che Corea reca in sé, fin da bambino, la doppia influenza di suo padre appassionato di jazz che gli faceva ascoltare la radio e tutti i dischi che portava in casa, e di un maestro di pianoforte severo e rigorosamente classico. Bollani, dal canto suo, ha alle spalle un diploma in pianoforte pieno di lodi e di menzioni d'onore, ed esperienze di musica leggera, prima di dedicarsi al jazz e a concerti e cd classici (Les Animaux Modèles di Francis Poulenc e, tra poco, un George Gershwin accademico con la Gewandhaus Orchester, diretta da Riccardo Chailly).

Ma c'è di più: dopo il «debutto» di Corea-Bollani a Perugia, non c'è voluto molto a capire che il pubblico accorreva soprattutto per Bollani, e così è stato anche ieri allo Smeraldo di Milano: 2200 posti esauriti. Bollani è riuscito a diventare un personaggio mediatico, sebbene al prezzo di far aggrottare il sopracciglio ai critici puristi.

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Tags Correlati: Chick Corea | Corea-Bollani | Francis Poulenc | George Gershwin | Gewandhaus Orchester | Milano | Musica | Perugia | Riccardo Chailly | Rodrigo Joaquim | Santa Giuliana Arena | Stefano Bollani | Torino (squadra)

 

Nel corso dei suoi concerti parla e scherza con il pubblico con indubbie doti di entertainer, provocando intervalli alla concentrazione che la sua musica, spesso non facile, richiede. Ma Bollani va accettato com'è: fino a pochi anni fa, nessun jazzista italiano era in grado di riempire i teatri come accade con lui. Tutto ciò premesso, il concerto milanese si è svolto secondo le previsioni di alcuni esperti che dopo l'esordio perugino hanno potuto ascoltare i due virtuosi altre volte, seguendone l'evoluzione.

Fra Corea e Bollani si è stabilita una familiarità umana, oltre che artistica. Ma era preferibile che quest'ultima restasse di gran lunga prevalente, date le inclinazioni di entrambi che tendono al giocoso gratuito, più che al non prendersi troppo sul serio e al divertissement (che invece vanno benissimo). Hanno inventato musica basandosi spesso sulla pura improvvisazione, affidandosi all'intuito reciproco, agli sguardi, e naturalmente alla grande tecnica e all'esperienza - specie quella di Corea, com'è logico.

Hanno preferito tempi veloci, note fitte, perlate, «liquide», suonando per un'ora e mezza filata, compresi due bis e scambiandosi di continuo il ruolo di primattore. Ogni dieci minuti circa, o poco meno, riprendevano fiato con un «basta» improvviso o smorzando lentamente i suoni. In quei dieci minuti accadeva di tutto: si ascoltava una «musica senza confini» indefinibile (mi si passi il termine abusato), nella quale ogni tanto si percepiva un tema - Corea vanta una discografia sterminata e composizioni rivolte in ogni direzione - che subito veniva disatteso. Soltanto un po' alla volta, calando la fantasia e crescendo la stanchezza, aumentavano le permanenze tematiche.

Si è udito un blues lento, e poi sono risuonate le note di Spain, forse di uno o due «Children's Songs» di Corea, e poi c'è stata una lunga e intensa interpretazione creativa di «Darn That Dream». Nei bis Corea e Bollani hanno proposto, a modo loro, l'incipit del «Concierto de Aranujez», di Joaquim Rodrigo e il dolce standard «There'll Never Be Another You» Alla fine, fra le ovazioni entusiastiche, ci sono stati dei mugugni. Ma diciamola: ce ne fossero, pesato il pro e il contro, di concerti così.

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