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Questo articolo è stato pubblicato il 10 settembre 2010 alle ore 20:07.

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Barney Panofsky di La versione di Barney, ultimo film in concorso alla 67esima edizione del festival del cinema di Venezia, è un tenero farabutto o meglio, come lo descrive Paul Giamatti che lo interpreta, "un romantico frustrato, un essere dolce e un brutto bastardo". E' in continuo bilico su questo crinale l'opera di Richard J. Lewis che ha lavorato dieci anni sulla versione, per l'appunto, cinematografica dell'omonimo libro di Mordecai Richler, che aveva fatto milioni di adepti tra i lettori di tutto il mondo. "Ero terrorizzato ad affrontare un testo del genere che ho molto amato - ha spiegato il regista - E' stata per me una tensione continua quotidiana".

La prima sceneggiatura l'aveva stesa addirittura lo stesso autore del bestseller, che ha acconsentito a spostare alcune scene da Parigi a Roma. "Poi si è ammalato e ci ha lasciati. Mi ha fatto un brutto scherzo", conclude amaramente Lewis. A lavorare sul primo abbozzo di Richler si misero poi tre scrittori, ma solo Michael Konyves è arrivato alla stesura finale. Il film di Lewis racconta fedelmente, a quanto dicono i fan accaniti del romanzo, la storia di Panofsky, produttore televisivo ebreo di telenovelas di serie zeta, attraverso 40 anni di vita, tre matrimoni e i soggiorni a Roma e in Canada. A essere completamente espunta dalla sceneggiatura è stata la vicenda politica che riguardava la battaglia per l'indipendenza della minoranza franco-canadese. "Ma era una questione politica superata e non così rilevante per l'intreccio", ha precisato il regista.

A prevalere nel film è la vicenda sentimentale di Barney con la terza moglie Miriam (Rosamund Pike), l'unica amata, da cui ha due figli e che perde per un tradimento. Rispetto al libro, il Barney cinematografico è edulcorato, il suo sarcasmo corrosivo e le sue battute politically uncorrect sono addolcite. "I lettori hanno amato Barney per il suo umorismo scorretto - ha spiegato Rosamund Pike – ma noi non potevamo fare un film di frasi, dovevamo tradurle in azioni". I fedelissimi comunque sono rimasti soddisfatti e sono passati sopra alle musiche piuttosto invadenti, al fatto che il film era godibile, ma non certo un capolavoro di originalità. Che farà bene al botteghino, ma la cui l'unica perla è l'interpretazione di Paul Giamatti, vero mattatore della pellicola e della conferenza stampa. Per lui si potrebbe prevedere domani la coppa Volpi come migliore interpretazione maschile.

Bella poi la liaison tra Barney e il padre Izzy, ex poliziotto in pensione, amatissimo e dal contegno discutibile. Perfino davanti alla tomba della moglie morta si fa rapire dalle cosce lunghe di una bionda di passaggio. Izzy è un meraviglioso Dustin Hoffman, grande assente di oggi al Lido, che muore in un bordello. Commovente il passaggio in cui Panosky va a riprendere il corpo e trafitto dal dolore in mezzo a teli scarlatti e specchi scoppia a ridere di un così tragicomica situazione. "E' stato fantastico lavorare con Hoffman – ha spiegato Giamatti - Non ha fatto altro che raccontare balzallette sporche tutto il giorno per tenere alto il morale alla truppa. E' imprevedibile, può trasformarsi in un quadro cubista e ti trascina nella sua eccentricità. Trent'anni fa avrebbe fatto il mio ruolo molto meglio di me". Ed è proprio il periodo giovanile di Barney ad aver creato a Giamatti maggiori problemi nell'interpretazione. "Neanche a 15 anni - scherza Giamatti - avevo tutti quei capelli". Molto convincenti i momenti finali della vita di Panofsky, in cui si trasforma nell'ombra di se stesso in preda all'alzheimer. Per fortuna che né Barney, né Richler hanno visto l'ultima scena del film con la neve che cade con la tomba: il loro spirito caustico, avrebbe fatto a fette il regista.

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