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Cultura-Domenica Arte

Storie di cibo e di cultura

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Questo articolo è stato pubblicato il 10 settembre 2010 alle ore 08:06.

Una cosa impressiona veramente in La solitudine dei numeri primi di Saverio Costanzo, presentato ieri in concorso alla 67ª edizione della Mostra del cinema di Venezia: il lavoro sui corpi di Alice (Alba Rohrwacher) e Mattia (Luca Marinelli). I due protagonisti di un film che non rapisce, dimagriscono e ingrassano sullo schermo e nella vita, facendoci comprendere come il rapporto squilibrato col cibo sia specchio non solo del disagio personale, ma anche dei costumi di una società.

Rohrwacher anoressica infierisce sullo spettatore con una penosa e scheletrica visione di quella che poche immagini prima era una ragazza florida. L'equilibrato rapporto con il cibo non è solo una questione estetica. Ieri il «Financial Times» ha raccontato come l'obesità, poiché provoca diabete, infarti e maggiori possibilità di sviluppare forme cancerogene, sia anche una questione finanziaria, che appesantisce i conti della sanità.
Così appaiono illuminanti certe domande poste nel documentario presentato da Elisabetta Sgarbi la settimana scorsa in Controcampo italiano, Se hai una montagna di neve, tienila all'ombra. Sgarbi ha girato l'Italia, cercando di tastare il polso allo stato della cultura italiana. Nel farlo ha posto domande che in un primo momento sorprendono, ma di cui si capisce la valenza. Nelle campagne del Po gli "emissari" - intervistatori di Sgarbi chiedono ai contadini: «Ma l'agricoltura è cultura?», e si vede l'interlocutore annuire senza un attimo di esitazione. E ancora al gestore di una pasticceria, già ristoratore: «Ma il cibo è cultura?». Risponde in maniera interessante l'intervistato di Sgarbi, ma ci rispondono anche molte storie raccontate in questo festival. Sono tanti i sentimenti espressi attraverso il cibo: la disumanità, per esempio. Come quella raccontata nel potentissimo film Il fosso del cinese Wang Bing, in cui la fame ha trasformato in cannibali e ucciso centinaia di cosiddetti dissidenti al regime maoista in un campo di lavoro nel cuore del deserto dei Gobi negli anni Sessanta. In Il fosso, che racconta una pagina di storia vera e a noi sconosciuta, si capisce bene che il nutrimento è un'arma con cui si rende schiavo l'uomo.

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Tags Correlati: Aleksei Fedorchenko | Arte | Ascanio Celestini | Controcampo | Italia | Kelly Reichardt | Luca Marinelli | Merja | Pablo Larraìn | Saverio Costanzo

 

Il cibo è anche veicolo di accettazione o di rifiuto di un'altra cultura. L'indiano prigioniero di Meek's Cutoff di Kelly Reichardt inizialmente addenta il boccone che gli offre una pietosa pioniera nell'America del 1800. Ma, nonostante deperisca per il digiuno, lo sputa subito dopo in segno di palese disprezzo. Ascanio Celestini in La pecora nera ci racconta il nostro rapporto malato con il supermercato. Il regista intuisce la nostra alienazione dal modo incurante con cui prendiamo la merce dagli scaffali senza sapere nulla della loro provenienza. Cibo ancora come elemento spaesante nel poetico Anime silenziose del russo Aleksei Fedorchenko, dove due rappresentati della tribù ugro-finnica dei Merja, molto attaccati alle proprie tradizioni, si trovano in un enorme centro commerciale a mangiare sushi, provocando nello spettatore un senso di triste ilarità. E ancora cibo veicolo di amore e di vendetta, come ci racconta Pablo Larraìn nel suo bellissimo Post mortem. Il protagonista, scoperto il tradimento dell'amata, smette di portarle da mangiare, decretando la sua morte nello sgabuzzino in cui lei pensava di avere salva la vita dagli squadroni della morte di Pinochet.

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