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Questo articolo è stato pubblicato il 19 settembre 2010 alle ore 17:12.
Vijay Iyer. Il nome è impronunciabile, ma è il più straordinario talento del jazz contemporaneo. Suona il pianoforte. Trentanove anni, di origini indiane, nato e cresciuto nello Stato di New York. Il suo disco dell'anno scorso, Historicity, è stato uno dei belli in assoluto, forse il più bello. Ora è uscito un suo cd solistico, intitolato con poca fantasia Solo. Al primo brano però conquista. Iyer suona Human Nature di Michael Jackson.
Ristrutturare in chiave jazz le canzoni pop non è operazione facile, specie se questo stesso brano è stato già manipolato da un maestro come Miles Davis. In Reimagining del 2005, Iyer aveva già adattato ai canoni jazz Imagine di John Lennon con lo stesso formidabile risultato. Solo è tutto molto bello, sia nelle composizioni originali sia negli standard di Duke Ellington e Thelonious Monk. Iyer è un Keith Jarrett melodico e ostinato, con sfumature free jazz del Cecil Taylor meno radicale.
Vijay Iyer è sullo stesso piano di Keith Jarrett e Brad Mehldau, assieme a Ethan Iverson dei Bad Plus, tra i migliori pianisti in circolazione. Ce ne sono altri, in realtà. Jason Moran, innanzitutto. Ospite d'onore in Mirror, il nuovo disco Ecm del sassofonista Charles Lloyd (già scopritore di Jarrett e di Jack DeJohnette), Moran conferma anche da sideman e accompagnatore le sue qualità ritmiche. Mirror è tra i migliori dischi di Lloyd. Da consigliare a chi sostiene che il jazz sia morto negli anni Sessanta. C'è anche una donna, tra le nuove star della tastiera. Anat Fort, israeliana. And if (Ecm) è un classico trio jazz che mescola suoni mediorientali con atmosfere midwest, nella tipica produzione minimalista di Ecm, la raffinata casa discografica di Monaco. Ultimo pianista da segnalare è lo svizzero Nik Bärtsch. Un nome ancora meno pronunciabile di Vijay Iyer. L'approccio, lo stile e il progetto musicale di Bärtsch però non possono essere più diversi. Il suo nuovo disco, sempre Ecm, si intitola Llyrìa, ed è uscito a nome del gruppo Ronin. I Ronin sono i samurai senza padrone, caduti in disgrazia, decaduti. Sono guerrieri solitari. Il gruppo e lo stile pianistico di Bärtsch sono quanto di più collettivo possa esistere nel jazz. Ronin è un organico socio-musicale, scrive Bärtsch.