Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 25 settembre 2010 alle ore 18:53.
Erano dieci anni che Christopher Nolan aveva un sogno: realizzare «Inception», il film che desiderava dirigere fin dagli inizi della sua carriera. Quest'anno il sogno è diventato realtà, grazie all'enorme successo delle sue pellicole precedenti che gli ha permesso di ottenere un budget di circa 170 milioni di dollari (già di fatto triplicato con gli incassi ottenuti in tutto il mondo) per portare a termine una delle opere più complesse e affascinanti delle ultime stagioni cinematografiche.
Accompagnato da altissime aspettative, dovute alle recensioni spesso entusiastiche giunte da oltre oceano, il film esce in Italia a più di due mesi di distanza dalla première americana, nello stesso week-end in cui arrivano nelle nostre sale anche «La passione» di Carlo Mazzacurati (dopo la discreta accoglienza alla Mostra di Venezia) e il deludente «L'ultimo dominatore dell'aria» di M. Night Shyamalan. Ma naturalmente tutti i riflettori sono puntati sull'ultimo lavoro di Nolan.
Sebbene in «Inception» siano moltissimi i personaggi di grande spessore, il film è incentrato attorno al protagonista Dom Cobb (interpretato da un brillante Leonardo Di Caprio), abilissimo ladro di segreti del subconscio umano, che riesce (insieme al suo team) a rubare quando la mente della sua vittima è al massimo della vulnerabilità: durante un sogno.
Ricercato in tutto il mondo per le sue abilità nello spionaggio industriale, Cobb, costretto in passato ad abbandonare la sua casa e tutto ciò che amava, incontra un magnate ricco e potente che gli offre la possibilità di redimersi in cambio di un ultimo lavoro, molto diverso da quelli cui era abituato in precedenza: non più rubare un'idea, ma impiantarla, o meglio innestarla (la parola "inception" nella versione italiana è tradotta come "innesto"), nella testa di qualcuno.
Come spesso avviene nelle pellicole di Nolan, «Inception» è costruito come un puzzle e toccherà allo spettatore ricomporre tutti i pezzi (magari vedendolo anche due volte, come suggerito dallo stesso regista) per capirlo fino in fondo.
I salti temporali, in particolare, sono un marchio dell'autore inglese fin dai suoi primi lavori. Nel film di esordio, «Following» del 1998, ci si spostava continuamente avanti e indietro fra il presente e il futuro del timido protagonista; «Memento» del 2000 si apriva addirittura con la fine e si concludeva con l'inizio, grazie a un montaggio innovativo e straordinario che ha reso questo film il suo capolavoro.