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Questo articolo è stato pubblicato il 24 settembre 2010 alle ore 15:59.
Prima di entrare in platea veniamo fatti sostare in fila dietro una linea bianca, in attesa di qualcosa. Improvvisamente sbucano da dietro la tenda delle giovanissime ballerine che si piazzano frontalmente davanti a noi spettatori. Pochi attimi e subito volano via. Le ritroveremo all'interno della sala schierate assieme ad altre, in linee e posizioni classiche, in piedi o accasciate, come creature morte. Sono cigni. Lo si intuisce dalla sola piuma sui capelli e dal body bianco.
Niente tutù e svolazzi. Niente pose romantiche. Del nobile cigno vedremo solamente un filmato proiettato nel finale. E della struggente musica di Ciajkovskij solo un frammento ad altissimo volume. Lo si udrà quando lo sparo di una pistola tenuta da uno dei cigni, seguito da un urlo squassante, farà scappare tutto il branco.
Il resto della partitura sonora è un flusso di suoni elettronici di Alva Noto e di Richard Chartier. Nello spettacolo di Enzo Cosimi «Odette Odile investigations», del celebre balletto «Il lago dei cigni», c'è solo lo spunto con l'intenzione, tutta moderna, di indagarne il valore simbolico.
In fatto di dissacrazione Enzo Cosimi è sicuramente uno dei coreografi più avvezzi. Egli vede il cigno come reincarnazione del femminile la cui natura romantica è oggi trasfusa di cinismo, di glamour, e un'aspirazione alla morte vissuta senza pathos. Figura mutante che trova nello sguardo di Cosimi bagliori cupi e inquietanti. Egli cerca affondi nella psiche, nello scavo immaginifico restituito in figure che ribaltano ogni iconografia tradizionale e rasserenante. L'atmosfera è sospesa, rarefatta. Siamo dentro un incubo, un tenebroso incantesimo che vede il mago Rothbart - lo stesso Cosimi - dirigere una sorta di crudele cerimonia in cui il cigno viene sdoppiato in due figure, Odette e Odile, il cigno bianco e il cigno nero.
Le due protagoniste - esposte su un piedistallo rosso a unirsi in un simbiotico accoppiamento, poi ciascuna nella loro solitaria esibizione - vivono, assieme ad uno stuolo di cigni, una condizione di prigionia. Lo evidenzia, nella grande scena del teatro che include una parte della platea sventrata di alcune file di poltrone, un sipario di catene attraverso il quale guardiamo l'ambiente cupo e opprimente dell'ostentazione. Siamo nella stanza del principe Siegfried, assente perché l'amore qui non trova posto. Vibrano, invece, atmosfere minacciose, come spesso negli spettacoli di Enzo Cosimi.