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Questo articolo è stato pubblicato il 25 settembre 2010 alle ore 08:05.
Un libro strano e fascinoso questo dato dall'editore Flaccovio. Cosa è nelle sue pagine? Pittura? Teatro? Altissimo artigianato? O visione quasi di trance? Segni, materie, volumi. I linguaggi, come li chiamano, sono molti: ma uno è il dramma da cui i linguaggi o meglio gli umani gesti artistici si mettono, carichi della nostra ferita e gloriosa umanità. Una è l'arte. Lo dimostra il volume appena uscito da Flaccovio dove si fa catalogo dell'opera di disegnatore e scenografo di Pietro Carriglio, regista e uomo di teatro di lunga e vitalissima esperienza: Il pensiero nello spazio a cura di Umberto Cantone, Roberto Giambrone e Liliana Paganini. Il volume è aperto da un erudito saggio di Vittorio Sgarbi che tra mille nomi e riferimenti dell'arte novecentesca e antecedente, riconosce al l'azione scenografica di Carriglio una virtù autonoma.
È un libro sortilegio: le scene pensate per le tragedie, per Shakespeare, per Eliot e per autori recenti e contemporanei emergono sulle pagine come opere dell'arte, segni minimi o composizioni ingegnose.
Pietro Carriglio, che oggi dirige lo stabile di Palermo, vive una condizione diversa dalla piena luce che meriterebbe, ma non per questo cessa di colpire nel vivo della vicenda in cui il teatro è oggi e sempre impegnato. Intendo il corpo a corpo con il senso stesso della presenza umana, della scena che abitiamo e dobbiamo mettere a fuoco. Il teatro quando cessa tale corpo a corpo con l'assoluto enigma diviene maniera e intrattenimento secondario. Le scene che il libro presenta sono lo spazio vivo di tale resistenza e continua insorgenza del teatro. Carriglio ha deciso di restare su questa pericolosa soglia su cui la vita precipita nel teatro e, al contrario, il teatro rompe la propria maschera mentre la indossa, e precipita nel vivente e nei suoi drammi.
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