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Questo articolo è stato pubblicato il 26 settembre 2010 alle ore 14:49.
«Non sottovalutate mai il potere del popolo», ha spiegatoChristine O'Donnell, candidata sostenuta dal Tea Party, dopo aver vinto le primarie repubblicane in Delaware. «Noi non siamo un partito, siamo un popolo», ha detto Silvio Berlusconi ai suoi sostenitori. «Noi siamo gente del popolo», ha precisato Mario Borghezio, europarlamentare della Lega nord in un talk-show su La7. E ci sarà molto "popolo viola" oggi a Cesena alla Woodstock di Beppe Grillo con lo slogan (e soprattutto il libro in libreria) «Prendiamoci il futuro», mentre il popolo della rete non si capisce chi sia, ma c'è sempre. Ma se il futuro è populista, il passato e il presente che colpe hanno?
Le fratture sociali, con la mancata efficace transizione dalle economie industriali e nazionali a quelle globali, e la paura dello straniero, sotto forma di immigrazione da governare, fanno sì che s'aggiri per l'Europa lo spettro del populismo, che poi torna buono quando ci sono le elezioni anche ai partiti dei più buoni.
«Almeno in Europa», spiega Marco Tarchi, docente di scienze politiche a Firenze e autore nel 2003 di un libro dal titolo L'Italia populista. Dal Qualunquismo ai girotondi, «è sotto gli occhi di tutti che il futuro è populista. In America è diverso, lì è trasversale. Anche Obama è stato accusato di populismo». Ma da che cosa nasce questo flusso continuo di malumori che si trasformano in odio e in x sulla scheda elettorale, «se non dalla questione immigrazione, come primo elemento, e dalla corruzione della politica, perduto il motore dell'ideologia, come secondo elemento»? Ovviamente la novità – Tarchi lo aveva già scritto nel libro del 2003 – è che venature di questo tipo si colgono forti anche a sinistra, per esempio nella Die Linke tedesca. Ricorda Tarchi che già vent'anni fa gli studiosi iniziavano a prevedere che sarebbero potuti nascere «movimenti populisti capaci di raccogliere fino al 15 per cento dei consensi, oggi siamo lì». Perché sono molte le grandi e antiche linee di frattura – centro/periferia, Stato/Chiesa, datori di lavoro/lavoratori – ma a queste oggi si è aggiunta «la difficile gestione di una società multietnica e multiculturale». Le linee di frattura creano le posizioni radicali e un fronte molto vivo di conflittualità. «Fino ad alcuni anni fa si pensava che certi paesi potessero essere immuni da questi fenomeni: l'Olanda, la Gran Bretagna, la Svezia. Esempi travolti».