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Uomini di Dio. Il film sui monaci uccisi in Algeria fa il pieno d'incassi in Francia

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Questo articolo è stato pubblicato il 27 settembre 2010 alle ore 21:45.

PARIGI. È davvero un piccolo miracolo quello che padre Christian de Chergé e i suoi monaci cistercensi stanno facendo in questi giorni in Francia. Des Hommes et des Dieux, il film di Xavier Beauvois che racconta gli ultimi tre anni della loro vita nel monastero di Tibhirine, nell'Atlante algerino, prima di essere rapiti e uccisi, sta sbancando il box office.

Certo, il film aveva ottenuto il Gran Premio al Festival di Cannes e rappresenterà la Francia agli Oscar, ma «francamente – dice sorridendo Delphine Benroubi, che gestisce una rete di 130 sale indipendenti sparse in tutto il paese – un film di oltre due ore, lento ed essenziale, su un gruppo di preti in un convento dell'Algeria, per di più premiato a un festival, sa talmente di cinema d'essai da tenere lontano il grande pubblico».

Ed è quello che senz'altro temeva il distributore, che aveva prudentemente messo in circolazione 252 copie. Invece, dopo due settimane in sala, Des Hommes et des Dieux (che il 22 ottobre arriverà in Italia con il titolo Uomini di Dio) ha brillantemente superato quota un milione di spettatori, surclassando Ben Affleck e Angelina Jolie, le copie in circolazione sono diventate 424 e Delphine ha deciso che le sue sale lo terranno in cartellone almeno fino a novembre.

A funzionare è stato il bouche-à-oreille, il passaparola. Chi l'ha visto non ha potuto evitare di sollecitare amici e parenti: dovete andare, è un film doloroso, un film che fa piangere (soprattutto la scena dell'ultima cena con Tchaikovsky in sottofondo), ma una boccata di aria fresca. Nel film c'è tutto quello che non c'è nella nostra vita quotidiana, o almeno nella vita quotidiana di molti di noi. Una storia vera, una storia semplice, una storia umile, una storia coraggiosa. Una storia di rinunce volontarie e felici, di sottrazione, di dedizione, di valori veri. Di sette uomini che vanno serenamente verso il sacrificio. Una fantastica storia d'amore.

Non c'è violenza, nel film. Il rapimento di padre Christian, il priore, 59 anni (un eccezionale Lambert Wilson), di padre Luc, 82 anni, di padre Bruno, 66, di padre Céléstin, 62, di padre Paul, 57, di padre Michel, 52, e di padre Christophe, il più giovane, con i suoi 45 anni, non viene raccontato. Come non c'è il ritrovamento delle loro teste (i corpi, quelli, sono svaniti nel nulla del deserto algerino). E non c'è neppure la guerra civile, tra i militari e gli estremisti islamici del Gia. Che si immagina soltanto, con la tensione che sale, intorno al monastero. E loro, uomini e santi, che decidono di non partire, di non fuggire, di rimanere vicini ai loro fratelli musulmani. E di non difendersi. Da chi poi? Da che cosa?

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Tags Correlati: Algeria | Angelina Jolie | Ben Affleck | Chi l'ha visto? | Christian de Chergé | Cinema | Delphine Benroubi | Francia | Gia | Lambert Wilson | Xavier Beauvois

 

Il film non prende neppure posizione sulle diverse tesi che si sono via via aggiunte a quella ufficiale secondo cui un gruppo di terroristi del Gruppo islamico armato ha rapito i monaci nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1996 per poi decapitarli alcune settimane più tardi. C'è infatti chi sostiene che si sia trattato di una montatura organizzata ad arte dai servizi algerini per screditare il Gia, alimentare il clima di terrore e di adesione alla politica di repressione dei militari. Ed è giusto così. Politicizzato, il film avrebbe perso la sua straordinaria dimensione spirituale.

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