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Questo articolo è stato pubblicato il 07 ottobre 2010 alle ore 15:33.
È il fumetto più longevo d'Italia. Sono passati infatti 62 anni da quando il 30 settembre 1948 Gian Luigi Bonelli diede vita con i disegni di Aurelio Galepini (in arte Galep) alla prima puntata del ciclo d'avventure di Tex. Nel primo numero, come si diceva allora, era un "eroico cavaliere solitario". Solo più tardi, risolti i suoi problemi con la giustizia (nel lontano West i processi erano molto brevi…), Tex sarebbe diventato un famoso ranger nonché leggendario capo degli indiani Navajos con il nome di Aquila della notte.
Ma oggi, nelle edicole , si festeggia un altro primato. L'uscita dell'albo numero 600, una vera chicca per i fedelissimi che ancora adesso, dopo il boom degli anni Ottanta (oltre mezzo milione di copie vendute), assicurano alla Bonelli Editore una vendita di circa 220mila copie ogni mese, senza tener conto dei vari albi giganti e delle numerose ristampe che tappezzano le edicole di tutta Italia.
"Per tutti i diavoli, che mi stiano ancora alle costole?". Quando nel 1948 esce il primo albo, intitolato " Il totem misterioso ", Tex è un'idea come tante. Il dopoguerra è un buon periodo per il genere "western" e, come racconta Sergio Bonelli, nessuno si era accorto delle potenzialità di questo pistolero scatenato. «Ha cominciato a crescere a poco a poco e non ha più smesso grazie anche a nuovi personaggi: Kit Carson, il figlio Kit, l'indiano Tiger e via via altre figure che avrebbero poi aumentato la sua popolarità come Mefisto, El Morisco e tanti altri..».
In 62 anni, e 600 albi, Tex ha attraversato la storia d'Italia: il dopoguerra, il boom economico, Tangentopoli e la fine della Prima repubblica, la discesa in campo di Berlusconi, la diffusione dei computer e dei cellulari...
«Sì, l'Italia è completamente cambiata», spiega Sergio Bonelli, «mentre Tex ha mantenuto quasi tutte le sue caratteristiche fondamentali. Certo, con il tempo, qualche modifica c'è stata. Anche perchè Tex, passando di mano in mano, ha assorbito le differenze di sensibilità dei suoi autori. Mio padre, Gianluigi, scriveva credendoci totalmente, e totalmente identificandosi nelle sue storie. Anche fisicamente, mio padre lo ricordava. Perfino quando andavamo in montagna a sciare,teneva in testa cappello e camicia di cow boy con una cravattina che avevamo preso insieme in un viaggio in America nella terra dei Navajos. Gli altri autori, me compreso, facevano più fatica a immaginare come avrebbe reagito Tex.... Così nel tempo qualche evoluzione c'è stata ma, mantendo sempre una sua personalità ben definita».