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Questo articolo è stato pubblicato il 11 ottobre 2010 alle ore 16:10.
Il canto della cultura ebraica si leva in due appuntamenti romani. Parte per primo il Festival Internazionale di Letteratura ebraica (9-13 ottobre) giunto alla terza edizione, mentre a fine ottobre (23-27) tocca al Pitigliani Kolno'a Festival che quest'anno spegne otto candeline. Un viaggio tra tradizione e nuove generazioni, tra la letteratura e il cinema dove è facile trovare dei punti di contatto. Ron Leshem, giovane scrittore israeliano, diventato qualcuno dopo il successo del romanzo Se esiste il Paradiso (trasformato in pellicola da Joseph Cedar vincitore dell'Orso d'Argento al 57° Festival di Berlino), dialogherà con Paolo Giordano (La solitudine dei numeri primi).
"Un incontro tra culture di cui gli scrittori italiani hanno fortemente bisogno per svincolarsi da un contesto territoriale", afferma Giordano. Leshem utilizza la parola scritta per distaccarsi dalla difficile situazione che sta vivendo il suo paese, "mi immergo in mondi lontani, volo altrove ma è inevitabile raccontare la tensione che si respira nell'aria, ne sono contagiato", afferma, e prosegue: "Lotto tutti i giorni per il processo di pace, scrivere è un modo per cercare di cambiare la realtà". Con lui parteciperanno al festival la scrittrice eritrea Yarona Pinhas che affronterà il tema della Cabbalà, il giovane poeta israeliano di origine irachena Ronny Someck che verrà intervistato dal nostro Edoardo Albinati e lo scrittore Meir Shalev che presenterà il suo nuovo libro È andata così (Feltrinelli), un racconto personale tra le gioie e i dolori della sua famiglia, tra vena poetica e un'inguaribile ironia.
A creare una sorta di contatto tra i due eventi è la proiezione nell'abito del festival letterario del film di Vittorio De Sica Il giardino dei Finzi Contini del 1970, che racconta la ferita della Shoa e che in questo caso funge da ponte verso la nuova cinematografia israeliana, sempre più presente in abito internazionale. Pensiamo a Lebanon, Leone d'Oro nel 2009 o al successo di Valzer con Bashir. Oggi c'è un fermento visibile proveniente proprio da quell'area del mondo e il Pitigliani Kolno'a Festival lo vuole testimoniare attraverso lungometraggi, documentari e serie tv (nuova sezione). Cinque ore da Parigi, opera prima di Leon Prudovsky (menzione speciale a Venezia nel 2005 per il corto Alila Affel) racconta con i toni della commedia la vicenda di un tassista di Tel Aviv che vuole superare la paura di volare. Sharon Maymon, ospite a Roma lo scorso anno con A Matter of Size su un gruppo di obesi emarginati che cercano una rivalsa, firma insieme a Tal Granit il nuovo Mashkanta. Qui indaga quanto possa resistere un amore sotto il peso delle spese quotidiane e del mutuo. Un tema delicato anche dalle nostre parti. Si sa, è opinione comune pensare che quando si parla di cinema israeliano sia indiscussa la presenza del conflitto con i palestinesi. Meduse di Etgar Keret e Shira Geffen ha dimostrato proprio il contrario: a Tel Aviv esistono i problemi di tutti. Altro esempio arriva da Surrogate di Taly Shalom-Ezer (selezionato al Festival internazionale di Edimburgo), dove Eli, trentaduenne, deve assolutamente risolvere i suoi problemi con l'altro sesso. Si rivolgerà a una terapeuta proprio per la pratica sessuale.