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Cultura-Domenica Arte

Far le scarpe a Canaletto

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 ottobre 2010 alle ore 06:41.

di Marco Carminati
La vita è dura per tutti e lo è stata anche per gli artisti del passato, compresi quelli che oggi ci appaiono brillare nel firmamento della fama. La mostra dedicata a Canaletto, appena aperta nell'Ala Sainsbury della National Gallery di Londra, affronta la vicenda umana e artistica del più grande vedutista di tutti i tempi proprio da questo punto di vista. Canaletto lavorò a Venezia insidiato dai concorrenti, fu costretto a sgomitare e a emigrare per conquistarsi fette di mercato tra i collezionisti e alla fine di una vita di lotte e di fatica si trovò a morire povero in canna. Ma la rassegna Venice. Canaletto and his rivals non offre solo l'occasione di calarsi in quest'arena di pittori gli uni contro gli altri armati, ma aiuta a capire come gli artisti scegliessero i soggetti, i formati e persino i timbri luministici dei loro quadri in funzione delle volontà e dei gusti dei committenti. E come li variassero per offrire elementi di novità rispetto alle soluzioni offerte dalla concorrenza. Ubicata nelle sei sale sotterranee della National Gallery, la mostra presenta l'intera parabola del vedutismo veneziano del Settecento, da Gaspar van Wittel a Francesco Guardi passando per Luca Carlevarijs, Antonio Canale detto il Canaletto, Michele Marieschi, Bernardo Bellotto e per un piccolo contingente di artisti meno noti (da Johan Richter a Francesco Tironi). La rassegna segue un andamento cronologico, a eccezione della quarta sala, posta al centro del percorso, nella quale i curatori hanno scelto di giocare la carta della spettacolarità riunendo i quadri con soggetti legati alle feste veneziane, alle regate, agli arrivi di monarchi, alle solenni ambascerie presso la corte dei Dogi.
A iniziare la grande stagione del vedutismo veneziano non fu un pittore veneziano ma un olandese trapiantato in Italia, Gaspar van Wittel (1652-1736), da noi noto come Gaspare Vanvitelli. Dopo aver attinto dalla tradizione olandese una nitida visione delle cose, Vanvitelli girò in lungo e in largo il Bel Paese (Venezia compresa) per fissare in disegni molto grandi e dettagliati gli angoli più celebri delle città italiane. Le vedute su tela nascevano in un secondo tempo in bottega, anche a distanza di anni (Vanvitelli si vantava a questo proposito d'avere una memoria infallibile), ed erano destinate come souvenir d'Italie ai numerosi viaggiatori del Grand Tour. Il quadro di Vanvitelli presente in mostra (Molo dal bacino di San Marco del 1697), non ci suscita, in verità, l'impressione di esser stato colto dal vero e i colori ci risultano innaturalmente pallidi, ma dobbiamo tenere conto che il povero Vanvitelli era una mezza talpa e portava lenti spessissime che non gli permettevano una giusta percezione delle cose: non a caso, il pittore è passato alla storia com il soprannome di «Gasparo dalli Occhiali».

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A vederci benissimo fu invece l'udinese Luca Carlevarijs (1663-1730), il quale, trasferitosi a Venezia e ammirate le opere di Gaspare Vanvitelli, intuì il grande futuro del genere della veduta. Fu il primo a mettere a punto le inquadrature più celebri (e più vendibili) della città e a cogliere il grande appeal dei quadri che rappresentassero feste e regate. E fu anche il primo a farsi pubblicità: ebbe la geniale idea di far incidere cento delle sue vedute e di far circolare le stampe. Un'operazione di marketing che gli portò grande notorietà tra il pubblico degli intenditori a Venezia e al l'estero.
Che cosa impedì a Carlevarijs di diventare celebre come Canaletto? Osservando i loro quadri affiancati in mostra lo comprendiamo bene: è la luce l'elemento davvero discriminante. Se ne erano accorti anche i contemporanei. Il procacciatore di quadri Alessandro Marchesini, scrivendo nel 1725 al collezionista Stefano Conti, lo esortava a non commissionare più vedute a Carlevarijs ma a rivolgersi al «Signor Antonio Canale, che fa in questo paese stordire universalmente ognuno che vede le sue opere, che consiste sul ordine di Carlevari, ma vi si vede lucer dentro il sole». Canaletto aveva capito che i suoi clienti volevano vedere Venezia immersa nel sole estivo e non sotto cieli scuri e turbinosi, e li aveva accontentati. Aveva anche capito che ci volevano quadri di minor formato che potessero più facilmente viaggiare, e li aveva prodotti. Joseph Smith, il console britannico di stanza a Venezia decreterà il successo anglosassone di Canaletto facendogli vendere vedute veneziane in serie a John Russell, quarto duca di Bedford, e a Charles Spencer, terzo duca di Marlborough. Alcuni quadri provenienti da queste illustri collezioni li possiamo ammirare in mostra, assieme ad altri mitici «Canaletti» di proprietà della regina Elisabetta II. Come Carlevarijs, anche Canaletto fece incidere le proprie vedute per aumentarne la notorietà presso i collezionisti, ma in più ebbe l'idea di andare a immortalare angoli più appartati della città (come il celebre Laboratorio dei marmi di san Vidal), oppure cercò di deformare le angolazioni delle vedute più celebri per aumentarne la singolarità. In entrambe i casi, i soggetti ebbero una grande fortuna tra i committenti.
Eppure, nonostante tutto ciò, Canaletto visse sempre assediato e insidiato da temibili concorrenti, soprattutto tra le generazioni più giovani di lui. Il primo fu Michele Marieschi (1710-1743) che soffiò a Canaletto un cliente d'oro come il feldmaresciallo Johann Matthias von der Schulenburg abbassando drasticamente i prezzi: Marieschi aveva fatto pagare a Schulenburg 55 zecchini per un quadro del tutto simile a uno che Canaletto gli aveva fatto pagare, invece, 120 zecchini. C'è ragione di credere che alla notizia della morte di Marieschi, spentosi a soli 32 anni, Canaletto si sia sentito piuttosto sollevato.
L'altro grande rivale, Antonio Canale lo aveva in casa. Era suo nipote Bernardo Bellotto (1721-1780). Così bravo e fedele ai modelli canalettiani da diventare anch'egli un pericolo per l'illustre zio. Furono gli avvenimenti storici a impedire che i due congiunti si facessero le scarpe a vicenda nell'accaparramento dei clienti. La guerra di successione austriaca (1740-1744) bloccò l'afflusso dei turisti-committenti a Venezia e divenne necessario andarseli a cercare direttamente in patria. I due vedutisti si spartirono il territorio: Bellotto partì per Dresda, Canaletto per «l'Ingilterra» (così scriveva lui). Ma il soggiorno inglese di Canaletto, durato nove anni, non fu affatto facile. Gli artisti locali gli fecero guerra mettendo in giro voci malevole: dicevano, ad esempio, che lui non fosse il vero Canaletto, bensì suo nipote Bellotto. Per smentire queste falsità, Antonio Canale fu costretto a pubblicare più di un annuncio sul «Daily Advertiser» per invitare gli amatori d'arte ad andarlo a veder dipingere nel suo studio dalle parti di Regent Street. In sua assenza, altri vedutisti, copisti e imitatori avevano occupato la piazza di Venezia, e quando Canaletto rientrò in Laguna era già al lavoro Francesco Guardi (1712-1793). Il re dei vedutisti tentò di riacquistare le sue posizioni di mercato, ma dovette farlo a fatica. Quando Canaletto morì nel 1768 lasciò agli eredi beni davvero irrisori: un letto, uno scarso guardaroba, 283 ducati da dividere tra tre sorelle e una piccola proprietà comperata nel 1751. L'unico suo investimento.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
La rassegna
1La mostra «Venice. Canaletto and His Rivals»,
curata da Charles Beddington e Dawson Carr, è aperta nella Sainsbury Wing della National Gallery di Londra fino al 16 gennaio 2011. Lo sponsor è Credit Suisse. Catalogo (italiano) Fonds Mercator.
1La rassegna passerà poi alla National Gallery di Washington, dove resterà esposta dal 20 febbraio al 30 maggio 2011. L'edizione americana è sponsorizzata dalla Fondazione Bracco.

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