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Cultura-Domenica Ventiquattro

Una moltitudine molto operosa

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Questo articolo è stato pubblicato il 28 ottobre 2010 alle ore 10:12.

Quattro anni fa l'artista Aaron Koblin raccolse diecimila pecorelle tratteggiate a mano, una diversa dall'altra. Sono ancora lì, nel sito www.sheepmarket.com, ciascuna pronta ad animarsi, ridisegnandosi da capo sotto i nostri occhi non appena selezionata. Le pecore sono state realizzate nel corso di quaranta giorni da singole persone, ingaggiate a cottimo (2 centesimi di dollaro a ovino) attraverso il "Mechanical Turk", la piattaforma sviluppata da Amazon per distribuire attraverso internet semplici compiti a un grande numero di individui. Koblin intendeva visualizzare l'apporto umano che quell'"artificiale intelligenza artificiale" di Amazon incominciava a organizzare.

Oggi lo stesso compito potrebbe essere risolto in una notte. E a essersi evoluta non è solo la capacità produttiva: l'intelligenza che una simile piattaforma può esprimere è ben più acuta di quella di una pecora (o di quella necessaria per disegnarla); «Right now, the sky's the limit», scherza Lukas Biewald, giovanissimo ceo di CrowdFlower e suo fondatore assieme a Chris van Pelt, oggi responsabile tecnologico, alla domanda su quali ne siano i limiti.

CrowdFlower è nata poco più di un anno fa. Sede a San Francisco, oltre sei milioni di dollari di venture capital, selezionata nel 2009 tra le cinquanta migliori start-up da Techcrunch, l'autorevole pubblicazione online di Michael Arrington, è specializzata in servizi di crowdsourcing, ovvero di lavoro distribuito attraverso il web. I suoi collaboratori sono sparsi in tutto il mondo (ci sono anche diecimila italiani), si prendono carico ciascuno di un piccolo compito, in genere semplice e ripetitivo come assegnare una tag ("etichetta") a una foto, verificare un indirizzario, o di operazioni più complesse, come accertare che un testo non sia protetto da copyright né offensivo. Compiti che è difficile o impossibile automatizzare efficacemente e che, se esternalizzati, possono essere svolti con rapidità e accuratezza.

Punto di forza di CrowdFlower è appunto la qualità del risultato, spiega Biewald, ovvero i meccanismi studiati per accertare l'affidabilità del lavoro svolto on-demand e la validazione delle singole risposte. Per fare un paio di esempi banali: se a indicare la stessa tag per una foto sono due persone autonomamente, la probabilità che questa sia corretta è molto alta; se un lavoratore che incomincia a collaborare produce risultati progressivamente più complessi, identici a quelli di un suo collega risultato nel tempo affidabile, si avrà un primo riscontro dell'affidabilità anche del nuovo arrivato. La base è insomma Mechanical Turk di Amazon (uno dei partner dell'azienda insieme a TrialPay e a Gambit: attraverso di loro, oltre che sul sito, viene attinta la forza lavoro) e il valore aggiunto da CrowdFlower risiede nel modo in cui sono studiati e articolati i compiti.

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Tags Correlati: Aaron Koblin | Amazon | Arte | Chris van Pelt | Crowdsortium | James Horton | Lukas Biewald | Mechanical Turk | Michael Arrington | Panos Ipeirotis | Stati Uniti d'America

 

Il lavoro distribuito via web è destinato a uno sviluppo capillare e imponente, toccando i settori più disparati. Non solo in termini di servizi alle imprese. Ad esempio nel giro di una decina d'anni Biewald stima che «buona parte della ricerca nelle scienze sociali si servirà di simili piattaforme, perché permettono di accedere a strumenti e dati inediti: già oggi gli studenti di linguistica a Stanford si avvalgono sistematicamente del crowdsourcing». Altro settore, le infrastrutture civiche: «I telefoni cellulari permettono a ciascun cittadino di diventare un reporter in presa diretta. Visualizzando le informazioni prodotte da loro su piattaforme quali Ushahidi (creata per tracciare su Google Map i disordini seguiti alle elezioni del 2007 in Kenya, ndr) si potrà accelerare e rendere più efficaci le risposte alle emergenze». La stessa CrowdFlower ha contribuito a fronteggiare le crisi di Haiti e in Pakistan organizzando lavoro volontario di traduzione e geolocalizzazione di informazioni generate via sms. Calamità, disastri di grave entità, ma anche eventi ordinari, come una nevicata o uno sciopero dei mezzi pubblici: «Il crowdsourcing diventerà la risposta scontata in tutte quelle situazioni che necessitano di organizzare molte persone in poco tempo, come in occasione di campagne e raduni di natura politica. Più in generale oggi i limiti sono quelli definiti dai bisogni effettivi dei committenti, e da ciò che esse ritengono più efficiente. Se un compito può essere realizzato elettronicamente e se si producono risposte verificabili, è probabile che possa essere affidato al crowdsourcing. Insomma, è solo una questione di immaginazione».

E di immaginazione, nonché visione strategica, Biewald ne ha da vendere. «Quando avevo 16 anni - racconta di sé, che oggi ne ha otto di più - scoprii il gioco da tavolo Go e mi ci appassionai al punto da decidere di andare a studiare in Giappone (è così che sono riuscito a entrare a Stanford, ne sono convinto!). Divenni campione nella prefettura di Tochigi nel 1998: Go è l'unico gioco per il quale a oggi non è possibile programmare un computer per vincere sull'intelligenza di un giocatore umano. Mi ha insegnato a essere calmo in situazioni di ambiguità, cosa utilissima nel lancio di una start-up».

Assieme ad altre 32 aziende, CrowdFlower è tra i fondatori di Crowdsortium, un consorzio presentato al pubblico lo scorso mese che dovrebbe permettere di fare massa critica, raccogliere esperienza e best practices, fare ricerca, trovare nuove soluzioni. E così facendo indurre anche i potenziali clienti a ripensare il proprio lavoro, a capire che cosa possa essere esternalizzato e affidato alla folla dei lavoratori online. «Una cosa so per certo: servizi come quello offerto da CrowdFlower sono destinati a diventare la norma. Siamo vicini al milionesimo lavoratore, e non è che l'inizio. Quindici anni fa - continua Biewald - era raro che qualcuno lavorasse da casa. Oggi in molti ambienti non è più così. Il telelavoro, almeno part-time, è sempre più diffuso. Tra dieci anni per molte persone il crowdsourcing sarà la sola fonte di guadagno».

Per accompagnare tale evoluzione la ricerca, su più fronti, è cruciale. Se ne trova traccia anche sul bel blog di CrowdFlower, accanto ad aggiornamenti e a progetti d'artista come il Mechanical Proust di James Horton, una raccolta in crowdsourcing di risposte al questionario proustiano. Quali sono le motivazioni dei lavoratori? Qual è la loro produttività nell'arco della giornata o di un mese? Come sono distribuiti in termini geografici, di censo, di età e di genere? C'è chi partecipa per ammazzare il tempo, ma il numero delle persone che si guadagna da vivere è in sensibile aumento. Tra loro in particolare giovani indiani e donne negli Stati Uniti (per una ricognizione dettagliata si veda la ricerca sui lavoratori di Mechanical Turk pubblicati da Panos Ipeirotis sul suo blog).

Il crowdsourcing pone anche una serie di problemi di carattere legale, come l'incerto inquadramento contrattuale (sono da considerarsi lavoratori indipendenti o impiegati?), di potenziale sfruttamento (ma secondo Biewald le opportunità che si aprono andranno a compensare il possibile dumping), di salario minimo (come stimare equamente il valore dei micro compiti? Oggi lavorando a tempo pieno si guadagna circa un migliaio di dollari). E pure questioni di rilevanza secondaria, ma indicativa di un cambiamento d'epoca, come il fatto che i curriculum vitae diverranno obsoleti: «Come sta già succedendo su oDesk o ELance e simili portali di offerta lavoro: a contare, più degli studi, sarà la reputazione guadagnata lavorando».

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