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Cultura-Domenica Arte

Banksy, il writer da museo

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Questo articolo è stato pubblicato il 28 ottobre 2010 alle ore 06:41.


Nessuno lo ha mai visto in faccia. Nessuno sa esattamente quale sia il suo nome. Si sa che viene da Bristol, ma nemmeno il suo gallerista ha mai avuto a che fare con lui direttamente. Le sue opere sono quanto di più contemporaneo abbia prodotto l'arte di questi anni, anche perché sono destinate quasi tutte all'impermanenza. Eseguite per la maggior parte con la tecnica dello stencil, applicate su muri, ponti, facciate di case popolari, scenari urbani vari, diventano quasi subito icone del nostro tempo. Ma spariscono (almeno, sparivano, prima della notorietà dell'autore) in fretta: cancellate dai proprietari dei muri, ansiosi di dare una mano di bianco, sbianchettate dalle forze dell'ordine in alcune circostanze, ricoperte e destinate a loro volta ad azioni di «Guerrilla Art» da parte di colleghi competitivi e, forse, invidiosi. Eppure, nonostante (o proprio per) il suo anonimato, Banksy è uno degli artisti (e non solo street artist) più affermati e ammirati del mondo occidentale, uno dei pochissimi le cui quotazioni sul mercato dell'arte salgono continuamente e raggiungono valori inimmaginabili per opere nate quasi sempre per i muri, dunque per la gratuità della visione.
È spettato a una giovane critica d'arte italiana ma nata a Ginevra, Sabina De Gregori, fare la prima ricognizione italiana, precisa, avvincente e puntuale, su questo «terrorista dell'arte» contemporanea che di sberleffi e clamorose iniziative ne ha messe in fila una dopo l'altra. Non ultime quelle di andar per celebrati musei ad appendere delle sue creazioni aspettando poi di «vedere l'effetto che fa». «Oggi Banksy non è solo un fenomeno di costume – spiega De Gregori – ma la sua imponente presenza sulla scena internazionale ha costretto il mondo dell'arte a fare i conti con il suo linguaggio. Lo star system lo adora, le sue opere vanno a ruba per migliaia di euro, la stampa lo celebra eppure egli ha saputo mantenere e difendere il suo anonimato». Il funzionamento di questo ingranaggio, nel complesso e scambievole rapporto Banksy-mercato, Banksy-museo, Banksy-committenza appare per la De Gregori «come l'aspetto più suggestivo e appagante dell'osservazione critica di questo geniale interprete figurativo del nostro mondo».

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Tags Correlati: Brad Pitt | Cultura | IRRIVERENTE MILIONARIO Dai | I Simpson | Matt Groenig | Sabina De Gregori | Stati Uniti d'America

 

A Londra si fanno già i Banksy tour, per andare a visitare i suoi lavori superstiti. E le immagini delle sue ironiche rivisitazioni del nostro tempo sono negli occhi di molti. Icone, come si diceva, del XXI secolo. Il teppista che scaglia il mazzo di fiori anziché una pietra, la cameriera che tira su la tendina nel bel mezzo della strada, la bambina vietnamita nuda che fugge dall'orrore del napalm tenuta per mano da Topolino e dal clown del McDonald's, la colomba della pace con ramo d'ulivo e giubbotto antiproiettile disegnata sul muro che separa i territori israeliani da quelli palestinesi, inquadrata nel mirino di un cecchino...
Banksy è popolare. Piace. Diverte. Irrita, anche se ormai poco. È saldamente al centro della scena dell'arte insieme a pochi artisti, è tra quelli che contano. Da qui è facile capire perché – in un interessante intreccio piuttosto post-moderno – l'ultima cosa che ha firmato l'artista inglese siano i titoli iniziali dell'ultima puntata dei Simpson appena andata in onda in America. Matt Groenig, altrettanto geniale creatore di un'altra delle icone del nostro tempo, ha ceduto all'artista la realizzazione della sigla. Risultato: una triste meditazione sul meccanismo di produzione degli stessi Simpson con un sottoscala nel quale lavorano centinaia di persone sfruttate che sfruttano a loro volta afflitti panda, uccidono topi, mentre il corno di un unicorno serve a forare i cd promozionali. Il sottoscala, insomma, del capitalismo e dello show business. Da quale Banksy è venuto, ma da quel retrobottega è pienamente emerso. Beffa del sistema a chi osa criticarlo. È qui, dopo tutto, la forza del sistema. E Banksy lo sa bene. Quando a un'asta londinese i suoi dipinti arrivarono a quote milionarie, espose, sul suo sito, una foto degli acquirenti, commentando: «E voi stupidi continuate a comprare questa merda?».
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