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42 chilometri che fanno la storia. La maratona celebra i 2.500 anni

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Questo articolo è stato pubblicato il 31 ottobre 2010 alle ore 06:41.

Sì, correre. Per cercare la pesantezza che fa volare e il fiato della storia. Questa è la maratona da sempre, questa sarà oggi la gara di Atene, culla di tutto.
Più di 12mila da Maratona allo stadio Panathinaiko: correranno 2.500 anni dopo Fidippide. Nel 490 a.C. lui, emerodromo («colui che corre un sol giorno»), portò la notizia della vittoria di Atene contro i Persiani. «Abbiamo vinto», gridò ai piedi del Partenone e morì. Un po' come Dorando Pietri ai Giochi di Londra del 1908. Entrò nel White City Stadium, cadde quattro volte, afflosciato come uno stelo senza linfa. Lo aiutarono a rialzarsi: quelle mani gli costarono la medaglia d'oro, ma non la gloria.

La storia della maratona nasce ad Atene. La gara, voluta da Michel Bréal e dal barone de Coubertin, si svolse per la prima volta il 10 aprile 1896: erano 40 chilometri dal ponte di Maratona ad Atene, comprensivi di una pausa per un bicchier di vino. C'era un italiano: Carlo Airoldi. Arrivò in Grecia a piedi ma gli vietarono di correre: era considerato un professionista perché aveva vinto premi in denaro. Ma la distanza di 42,195 km nasce a Londra. Il tracciato andava dal Castello di Windsor fino allo stadio, 26 miglia (41,843 km), a cui furono aggiunte 385 iarde (352 metri) per portare il traguardo davanti al palco reale. Ecco i 42,195 km, ufficiali dal 1921.

Nella pesantezza della corsa, nella bellezza del sogno che traghetta l'uomo oltre i limiti, gli scrittori hanno trovato orizzonti di scrittura. On the road con le gambe e il cuore, da Luciano di Samosata che cantò Fidippide fino a Murakami Haruki con l'Arte di correre (Einaudi). In mezzo Correre (Adelphi) di Jean Echenoz sul cecoslovacco Emil Zátopek, la «locomotiva umana» che vinse a Helsinki 52 e che corre anche nella pagine estrose e potenti di L'abatino Berruti, scritti sull'atletica leggera (BookTime) di Gianni Brera. Libri e cronaca. In quei Giochi, che furono l'Ungheria di Puskás e le imprese di Zátopek (tre medaglie d'oro), Brera dedicò titoli a nove colonne all'atleta, ma i Crespi, editori della Gazzetta dello Sport, non gradirono: era pur sempre un comunista. E il racconto dura sempre più dell'impresa.

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Tags Correlati: Adelphi Edizioni | Africa | Coubertin | Crespi | Cultura | Einaudi | Eugenio Montale | Gelindo Bordin | Gianni Brera | Grecia | Italia | Jean Echenoz | Londra | Luciano di Samosata | Maratona | Michel Bréal | Stefano Baldini

 

Di imprese e storie la maratona ne ha scritte centinaia, per lo più al maschile, anche se forse non è azzardata una riflessione. La maratona, per il massacro delle carni che impone, è disciplina che si plasma sulla capacità tutta femminile di resistere. Le donne corrono la maratona da Londra 1948 ma gli eroi son tutti giovani e belli, e uomini.

Come il giapponese Shizo Kanakuri. A Stoccolma 1912 porta l'orgoglio sfacciato dell'impero del Sol Levante. Al 30° km, senza forze (all'epoca erano vietati i rifornimenti), si ferma nel giardino di una villetta a un pic-nic. Affondato dalla vergogna, sparisce. Lo ritrova cinquant'anni dopo un giornalista svedese: Shizo, a 80 anni, percorre i chilometri mancanti, chiude i conti con la vita e con una maratona dal tempo record: 54 anni, 8 mesi, 6 giorni, 5 ore, 32 minuti, 20 secondi e 3 decimi.

Record vero (2h15'16") e sogno fu quello di Abebe Bikila, dominatore a Roma 60, Olimpiade che cambiò il mondo. Veniva dall'Etiopia, correva a piedi nudi nella notte, stregò le ragazze romane assiepate lungo il percorso e catapultò l'Africa nello sport: «Per poco - disse a fine gara - non mi incantavo a guardare l'arco di Costantino, non ho mai visto niente di più meraviglioso e sono contento di averlo visto durante la notte più bella della mia vita». Vinse anche a Tokyo 1964 (doppietta riuscita solo al tedesco dell'Est Cierpinski, 1976-1980) ma Bikila più di chiunque altro è la maratona, disperazione e grandezza. Quella che l'Italia ha vissuto con Gelindo Bordin, a Seul 88, e con Stefano Baldini, dio di Maratona nel 2004, nell'Olimpiade finalmente tornata a casa.

Non è gloria solo un alloro olimpico, lo è arrivare in fondo alle proprie forze: teatranti ubriachi lungo il percorso, zombie felici all'arrivo. Perché, come scrisse Eugenio Montale, «se la notte sogno, sogno di essere un maratoneta».

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