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Un weekend di grandi interpretazioni con Catherine Deneuve, Gérard Depardieu e Toni Servillo

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Questo articolo è stato pubblicato il 05 novembre 2010 alle ore 16:30.

È raro trovare un weekend cinematografico da ricordare, soprattutto per alcune superlative interpretazioni. Sempre più spesso, infatti, parliamo di cinema commentando la regia e la sceneggiatura, ma trascurando il fondamentale ruolo degli attori. Le uscite di questo ricco venerdì, invece, non possono che far apprezzare al pubblico (in particolare) le performance dei loro protagonisti.

Fra questi svetta certamente Catherine Deneuve per «Potiche» di François Ozon, il film più atteso e (probabilmente) più importante della settimana. L'attrice francese interpreta Suzanne, donna borghese tutta casa e famiglia, sottomessa al marito Robert Pujol, un ricco industriale disprezzato dai suoi operai per l'atteggiamento dispotico, che la considera soltanto una bella statuina (questo è il significato del titolo «Potiche», che testualmente in francese rappresenta un vaso o un oggetto d'arredamento privo di grande valore) incapace di avere una propria opinione.

A seguito di uno sciopero e del relativo sequestro del marito (che decide poi di prendersi una vacanza lontano da casa per rimettersi in sesto), Suzanne si ritrova a dirigere la fabbrica di famiglia e, con grande sorpresa di tutti, si dimostrerà una donna capace e determinata, in grado di migliorare i bilanci dell'azienda e di dare risposte concrete alle rivendicazioni operaie e sindacali. Dopo il drammatico «Il rifugio», uscito nelle nostre sale soltanto un paio di mesi fa, Ozon cambia registro realizzando un'intelligente commedia, dove i tanti momenti divertenti sono esaltati da tematiche di grande spessore.

Il film è ambientato nella Francia del nord del 1977, in un momento storico segnato dalle lotte di classe e dal desiderio femminile di ricoprire incarichi sempre più importanti nel mondo del lavoro. Come ha dichiarato lo stesso regista, era da molto tempo che sognava di realizzare una pellicola sul ruolo delle donne nella società e nell'universo professionale: l'occasione si è presentata quando ha scoperto la pièce teatrale omonima di Pierre Barillet e Jean-Pierre Grédy, che ha voluto immediatamente adattare per il grande schermo.

Al fianco di una straordinaria Catherine Deneuve, che riesce a rappresentare con grande spessore tutte le fasi attraversate dal suo complesso personaggio (dalla bella statuina alla donna manager), torna a recitare Gérard Depardieu (anche lui in ottima forma) sei anni dopo «I tempi che cambiano» di André Téchiné e, soprattutto, a trent'anni di distanza dall'indimenticabile «L'ultimo metrò» di François Truffaut.

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Tags Correlati: Catherine Deneuve | Cinema | Filippo Gravino | Francia | Gérard Depardieu | Gisbert Franz-Olivier | Italia | La pantera rosa | Pierre Barillet | Rosario Russo | Toni Servillo

 

Tutto il cast di «Potiche» è notevolissimo, ma negli occhi degli spettatori, soprattutto se amanti del cinema francese, rimarrà soprattutto impressa la sequenza in cui Depardieu e la Deneuve ballano romanticamente in discoteca, come due giovani che si sono appena scoperti innamorati l'uno dell'altra.

Sicuramente meno rilevante è invece un'altra pellicola francese in uscita questa settimana: «L'immortale» di Richard Berry. Ispirato a fatti reali e tratto dal romanzo omonimo di Franz-Olivier Gisbert, il film racconta la storia di Charles Matteï, ex gangster marsigliese che ha deciso da tempo di cambiare vita per dedicarsi interamente alla sua famiglia. Un giorno però subisce un attentato dal quale esce miracolosamente vivo, nonostante sia stato colpito da ventidue pallottole: una volta guarito, dopo aver lasciato l'ospedale, si metterà sulle tracce dei suoi attentatori.

Come si evince già dalla trama, «L'immortale» è un classico film di vendetta, incentrato su un personaggio che cerca inutilmente di uscire dal mondo della malavita, privo di qualsiasi originalità narrativa. Richard Berry, più famoso in Francia come attore che come regista, sembra particolarmente a disagio nel girare le sequenze più dinamiche e concitate; al contrario i momenti meglio riusciti sono quelli più statici e riflessivi che riescono a salvare almeno in parte questa pellicola.

Discreto il cast di contorno, nel quale (oltre allo stesso Berry) è presente Kad Merad, reso famoso (anche in Italia) dal suo ruolo da protagonista in «Giù al nord», che ne «L'immortale» veste i panni di un padrino della malavita. Abbastanza deludente è invece Jean Reno, nella parte del protagonista Charles Matteï. Da diversi anni l'attore di «Léon» sembra in una fase involutiva, che ha toccato i suoi punti più bassi nella nuova saga de «La pantera rosa», e appare ormai incapace di ritrovare la mimica e la presenza scenica che l'aveva reso grande a metà anni '90.

Tutt'altro giudizio merita invece Toni Servillo che si conferma a pieni voti il più grande attore italiano in circolazione con «Una vita tranquilla» di Claudio Cupellini. In questo film (presentato negli scorsi giorni all'interno del concorso del Festival di Roma) Servillo veste i panni di Rosario Russo, napoletano che vive da dodici anni in Germania, dove gestisce un albergo-ristorante insieme alla sua famiglia. Rosario non è però quello che sembra e che tutti credono: ha alle spalle un passato violento nella camorra, dal quale credeva di essere scappato per sempre, ma che tornerà a bussare alla sua porta.

Se il soggetto, scritto da Filippo Gravino e vincitore del Premio Solinas nel 2003, sembra ricordare diversi altri film, primo fra tutti «A History of Violence» di David Cronenberg, le declinazioni narrative che la storia prende sono invece interessanti e sorprendenti. Opera sospesa e affascinante, «Una vita tranquilla» riesce a sviluppare una profonda e originale riflessione sull'universo mafioso, ma anche sui legami e i rapporti umani declinati dal regista con grande sensibilità.

Una regia sicura ed efficace, con lunghe e complesse riprese fra i corridoi dell'albergo, accompagna il personaggio di Toni Servillo nel tentativo di equilibrare il suo passato con la sua nuova famiglia e con il desiderio di avere una vita tranquilla. Le musiche del sempre bravissimo Teho Teardo (abituale compositore di Paolo Sorrentino) danno un valore aggiunto a una pellicola di pregevole fattura, che cala soltanto (e solo in parte) nelle sequenze conclusive per alcuni snodi della trama, a tratti inverosimili.

Dopo l'esordio leggero di «Lezioni di cioccolato», Claudio Cupellini si è così cimentato con successo e coraggio nel cinema di genere, realizzando con questa sua seconda opera uno dei migliori prodotti nostrani usciti nelle sale negli ultimi mesi, che lo porta a diventare una delle nuove promesse su cui puntare per il futuro del nostro cinema.

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