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Questo articolo è stato pubblicato il 10 novembre 2010 alle ore 18:58.
Le nostre conversazioni, spaziando dalla storia all'economia, dalla politica al costume, sono state per me occasione per riandare con la mente – ma anche e soprattutto col cuore – a fatti, volti, episodi forse mai del tutto dimenticati, certo sedimentati negli strati più profondi della memoria. Queste sollecitazioni hanno tolto loro la «polvere», rendendomeli vicini e vivi. Gliene sono grato, caro Orioli. E da ultimo, quasi a chiudere un ideale percorso circolare, una rapida incursione in biblioteca, sulle tracce del tricolore: simbolico filo rosso dei nostri incontri. Ritorniamo allora da dove siamo partiti; ai prodromi dell'avventura risorgimentale.
A riportarmi a quegli inizi, allineata sullo scaffale della libreria, nella stanza dove trascorro ormai buona parte della mia giornata, è l'edizione mondadoriana dell'opera completa di Giacomo Leopardi. Sono i cinque splendidi volumi, curati da Francesco Flora, usciti tra il 1937 e il 1949, nell'ambito di un progetto editoriale, quello dei «Classici italiani», culturalmente ambizioso; certamente esemplare nella storia dell'editoria anche per la raffinatezza della veste editoriale. Per quei volumi in sedicesimo, rilegati in marocchino, stampati su carta sottilissima e compatta, tale da renderli maneggevoli nonostante le oltre mille pagine di ogni tomo, le mie giovanili finanze si sobbarcarono l'impegno di un acquisto rateale.
In quelle pagine che tanto hanno nutrito il mio spirito, affinato la mia sensibilità e, come me, prima e dopo, quella di tanti altri giovani, il genio italiano scrive una delle testimonianze più alte di tutti i tempi. La poetica leopardiana, che erompe dal «natio borgo selvaggio» per farsi universale, è percorsa da non pochi dei motivi che concorrono a creare la temperie culturale che fa da sfondo e insieme alimenta lo spirito del Risorgimento.
La critica letteraria continua a scorgere e a mettere in luce nell'opera del grande recanatese aspetti e motivi inediti. Personalmente, osservando questi volumi che – ripeto – mi riportano alle suggestioni di letture antiche e alle emozioni, nuove o rinnovate, da riletture più prossime, ritrovo il giudizio di Natalino Sapegno, che Le consegno a suggello delle nostre chiacchierate e come viatico per giungere, con consapevolezza piena del suo significato, all'appuntamento del 2011. «Nei primi decenni del secolo XIX – nel periodo che intercorre tra la fine dell'avventura napoleonica e le prime avvisaglie della rivoluzione borghese – la civiltà letteraria italiana si libera d'un tratto dai ceppi della sua angustia provinciale e accademica, per opera di due scrittori, Leopardi e Manzoni, e torna a innalzarsi a un livello europeo e universale… La grandezza poetica… si misura dall'ampiezza e dall'intensità della prospettiva culturale, dall'adesione lucida e consapevole a tutti i problemi, ai sentimenti e alle ideologie del mondo contemporaneo».