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Questo articolo è stato pubblicato il 21 novembre 2010 alle ore 15:31.
Gli enti pubblici che si occupano di arte contemporanea si stanno domandando come vivere, giacché una nuova norma prevede che non possano spendere in mostre più del venti per cento di quanto avevano speso lo scorso anno. Il sistema di centri d'arte italiani, finalmente organizzato in una rete e decisamente attivo, difficilmente reggerà l'urto. Un peccato. Ma in tempi di carestia, oltre a cercar di resistere occorre cogliere l'occasione per riflettere. È possibile tenere vivo un luogo espositivo senza un programma intenso e in assenza di una collezione permanente?
Molti esperimenti stranieri, a partire dal Palais de Tokyo di Parigi, ci hanno indicato come la prima regola per dare vita a un centro d'arte sia una sorta di microdinamismo: attività continue e polivalenti, articolate; e ancora bar, musica e shop, possibilmente tutti calibrati sul tipo di pubblico che si intende raggiungere.
In tutto questo può servire come esempio il modo scelto per procedere da HangarBicocca, a gestione pubblico/privata, che pure avendo aperto a Milano da anni, solo in tempi recenti sembra avere assunto un'identità propria. Uno dei motivi di questo cambiamento è l'incalzare di programmi light: per esempio solo nell'ultima settimana, da mercoledì in poi, vi hanno trovato posto una serata rock organizzata dalla rivista Rolling Stones, un concerto di Ludovico Einaudi e un mercatino di oggetti di seconda mano.
Un'instabilità continua e fertile è del resto anche l'anima della mostra che occupa gli spazi da ottobre e che continuerà fino a maggio, con altre tre inaugurazioni intermedie a gennaio, marzo e aprile. L'esposizione è dedicata all'idea di vulnerabilità: un concetto preso dalla sensazione che si ha di sé – e che probabilmente gli artisti hanno delle loro opere – quando si entra in quello spazio. Memoria della Milano metallurgica, è una balena di ferro di migliaia di metri quadri. Un vuoto sconfinato che resta sempre riempito dalle torri di Anselm Kiefer, così grandi e tragiche. Ogni opera si va ad aggiungere a esse, secondo un'ottica processuale già presente in alcune mostre degli anni Settanta.
Anche la mostra in corso è centrata sulla dinamica dell'aggiunta: sarà sempre la stessa fino a maggio, ma con inaugurazioni dilazionate fino a raggiungere le trenta opere. Tutte sono state concertate dalla direttrice Chiara Bertola con Andrea Lissoni in diversi incontri tra gli artisti. Nei lunghi mesi dell'esposizione sono stati programmati molti interventi intermedi anche in merito alle opere. Sempre nel corso di questa settimana, sono state presentati due elementi che completano il primo itinerario il più secco e vuoto: l'attrice Valeria Magli ha concepito una sorta di audioguida poetica dell'esposizione, scaricabile nei cellulari via bluetooth. Inoltre è stata allestita l'opera Dissonanze di Elisabetta Di Maggio, che vede sciogliersi goccia dopo goccia il contenuto di ghiaccio di molti vasi da fiori, tenuti ad altezza d'occhio sopra una griglia triangolare. Il plic plac del cadere riempie il tubo ottico dello spazio con una musica imprevedibile e severa, centrata sull'idea del venir meno e del "disnascere" continuo della forma.