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Questo articolo è stato pubblicato il 25 novembre 2010 alle ore 09:48.
Una regione straordinariamente ricca di materie prime ma tra le più ostili al mondo, con estati torride alternate a inverni glaciali. È qui, nella steppa, che il presidente-dittatore Nazarbayev ha deciso di far nascere la nuova capitale. Senza badare a spese. E con un ordine preciso per cittadini e stranieri: godetevi il mio gioiello
Verso fine ottobre centinaia di signorine sostituiscono i fiori nei vasi delle aiuole della città. Le piantine appassite vengono rimpiazzate con fiori in piena salute di plastica colorata, con foglie vellutate e pistilli di stoffa. Perché le piante vere non resistono all'inverno di Astana, capitale kazaka sorta nel mezzo di una steppa dove la temperatura a dicembre può toccare i meno quaranta, e a luglio salire fino a più quaranta, e il vento soffia ventiquattro ore al giorno, quattro stagioni su quattro. Ma è vietato fare brutta figura, e poco consigliabile dare il benvenuto al presidente Nursultan Nazarbayev con fiori sciupati. Astana è la nuova, spettacolare capitale del ricco e orgoglioso Kazakistan, costruita a tavolino, voluta da una persona sola. E l'ultima nella lunga serie di centri ideali che dalla città-utopia di Tommaso Campanella, passando per la Brasilia di Oscar Niemeyer e per l'indiana Chandigarh di Le Corbusier, nel 2000 è arrivata nella steppa centroasiatica. Per le strade di Astana niente lascia intendere che siamo in uno stato che è il nono per dimensioni sulla Terra, ma che ha una popolazione di poco superiore a quella di Lombardia e Piemonte messe assieme. Nei bar si bevono cappuccini troppo schiumosi, identici a quelli che trovi a Washington, e sulle pareti degli alberghi sono affisse le foto della Dolce Vita. La globalizzazione impera. Si mangiano risottini con le zucchine, ma non c'è traccia del beshbarmak, il piatto kazako.
Astana nel 1997 ha sostituito Almaty come capitale del Kazakistan, ufficialmente perché la sonnolenta città sovietica, con i suoi viali di platani larghi e disordinati e le montagne coperte dalle piantagioni di mele preferite da Stalin, era troppo a sud. Troppo periferica, troppo vicino alla Cina rispetto al resto del paese, e lontana dalle strategiche miniere che si addensano nel Centro-Nord. La capitale è stata spostata per ragioni geografiche, ma anche per motivi culturali: al nouveau riche Kazakistan premeva costruire dal nulla l'identità di un paese giovane e fiero, zeppo di materie prime, dal carbonio al petrolio passando per nichel, ferro e diamanti, e far dimenticare Borat. Urgeva una nuova capitale, fresca, costruita dal nulla. «Anche perché Nazarbayev temeva che prima o poi Almaty si sarebbe ribellata al suo potere senza limiti e senza contrappesi - dice un imprenditore e uomo di cultura, almatino per nascita e devozione, che preferisce mantenere l'anonimato - mentre Astana, disegnata a immagine e somiglianza del presidente, è molto più facile da controllare». Ma nessuno ad Almaty sembra triste per aver perduto lo status di capitale, meglio anzi, perché il traffico e l'inquinamento sono diminuiti, e sono stati trasferiti i ministeri e gli uffici statali che appesantivano la città.