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Questo articolo è stato pubblicato il 26 novembre 2010 alle ore 06:41.
Chi sono i Gattopardi? Dove si rintanano? Come agiscono? Le risposte che ci dà il libro scritto dal magistrato campano Raffaele Cantone con il giornalista Gianluca Di Feo, non lasciano tranquilli. I Gattopardi sono il prodotto della strategia di Bernardo Provenzano che ha voluto «una leva di giovani laureati, capaci, flessibili ma educati al rispetto dei codici d'onore». Una strategia inquinante che sta trasformando «la zona grigia degli affari e della corruzione in un buco nero che rischia di inghiottire le migliori risorse umane e materiali del Sud. Medici, architetti, ingegneri, avvocati, commercialisti, banchieri, funzionari locali e uomini delle istituzioni vengono inglobati nel sistema di potere che ruota attorno ai clan». Frasi e concetti forti che qualcuno cercherà di liquidare come i soliti estremismi di antimafiologi professionali. Ma non sarà così facile, perché il lavoro di Cantone e Di Feo è denso di riferimenti di cronaca.
Il magistrato esperto di territori e usi camorristi non si improvvisa tuttologo e affida l'analisi degli altri ceppi criminali all'esperienza del giornalista. Ne risulta un quadro convincente delle analogie nel l'azione dei clan a prescindere dalle loro radici geografiche: con piccolissime varianti locali, le cosche premono senza sosta sulla società, l'economia, la burocrazia, l'amministrazione fino a delineare «non una questione morale, ma criminale. Dalla convivenza si è passati alla connivenza, dall'omertà alla complicità, grazie all'accettazione di un modello mafioso che anche quando non assume rilevanza penale alimenta la palude in cui rischia di affondare il Sud». Solo il Sud?
Se la borghesia che popola i meravigliosi e cadenti centri storici del Meridione nega da sempre l'immagine del degrado, della violenza, del malaffare che attanaglia le pur contigue periferie, un'identica logica miope ha portato per decenni l'Italia a voltare il capo e magari insultare la «sua» periferia – il Sud – fino a risvegliarsi con pezzi di Centro e Nord contesi o già conquistati dal crimine. «Oggi la mafia i soldi li fa con la testa e non con i muscoli», anche se la violenza è un'opzione costante e dirimente. Ma – avvertono gli autori – è ormai dimostrato che a dischiudere ai boss le porte del Nord non sono state paura e sopraffazione, ma ingordigia e convenienza.