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Questo articolo è stato pubblicato il 28 novembre 2010 alle ore 17:15.
C'era una volta il Cimac, il «Civico museo di arte contemporanea» di Milano, mesto per quel nome e malinconico per la sede, compresso com'era nelle stanzette anguste del sottotetto di Palazzo Reale, a dispetto di un patrimonio eccezionale di opere (Picasso, Kandinsky, Boccioni, Balla, Morandi, Sironi, Fontana e Arte Povera). Dal 6 dicembre ci sarà il Museo del Novecento, con una sede finalmente degna delle sue collezioni, nell'Arengario progettato nel 1936 da Portaluppi, Griffini, Magistretti, Muzio e ora ridisegnato da Italo Rota e Fabio Fornasari.
A dieci anni dal concorso – indetto dall'assessore di allora, Salvatore Carrubba – e dopo mille peripezie e ostacoli, il grande cantiere (8.200 metri quadrati di cui 4 mila espositivi) è giunto finalmente al traguardo. E c'è stato un lavoro imponente anche sul patrimonio, perché, spiega il neo-direttore Marina Pugliese, «occorreva restaurare molte opere, chiuse da anni nelle casse, realizzare il catalogo con le schede scientifiche delle 400 opere esposte, provvedere alla catalogazione informatica e progettare meticolosamente l'allestimento», per poi montarlo in pochi giorni. Un lavoro di squadra che ha coinvolto tutti, il sindaco Letizia Moratti in testa, fiera di questo progetto perché – ci spiega – «non solo si innesta così felicemente su un'architettura storica della città, intrecciando tradizione e innovazione, secondo il modello milanese, ma ha anche il dono di far "vivere" il museo sin dalla piazza».
Cifra architettonica e museologica del nuovo museo è infatti la trasparenza: trasparente la facciata originaria, forata da immensi finestroni ad arco; trasparente l'involucro della rampa elicoidale – il segno architettonico forte del nuovo museo – ideata da Rota per collegare il sottosuolo all'ultimo livello della "torre" dell'Arengario, e trasparentissima, su in alto, la sala di Lucio Fontana, una vera opera ambientale dove il gran neon bianco della Triennale del 1951, in deposito dalla Fondazione Fontana, dialoga con il soffitto, di Fontana anch'esso, già nell'Hotel del Golfo all'Isola d'Elba (del MiBac) e con i dipinti di Casa Boschi-Di Stefano ma, più ancora, dialoga con la piazza, il Duomo, la Galleria, il Sagrato e la sua folla.