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Questo articolo è stato pubblicato il 02 dicembre 2010 alle ore 21:48.
Una strada nella campagna francese, una potente automobile che sbanda, lo schianto. Siamo in Borgogna, vicino a Sens. E' il 4 gennaio del 1960. L'orologio, sul cruscotto della Facel Vega, resta inchiodato alle 13.30: in quel preciso momento, nell'incidente, perdono la vita Albert Camus, scrittore e intellettuale francese, insignito del Nobel per la letteratura solo tre anni prima, e Michel Gallimard, il suo editore.
Quel tragico mezzogiorno di inverno consegna per sempre al mito l'ancora giovane talento di uno dei più problematici artisti del Novecento: un talento che si è inscindibilmente legato all'esperienza del secolo breve, che lo ha caratterizzato in traslucenza, come l'altra faccia della medaglia dell'esperienza esistenzialista. Quando si pensa ad Albert Camus, si usa mettere in relazione la sua avventura intellettuale con quella di Jean-Paul Sartre, la loro amicizia, la loro rottura nel 1951, dopo la pubblicazione del saggio camusiano "L'uomo in rivolta".
Ma era vera amicizia, quella che c'è stata tra Sartre e Camus? Il primo di estrazione borghese (cruccio e chiave di una vita), il secondo di umili origini e "pied-noir" (francese-algerino). In altre parole, nella società divisa in classi, mondi inconciliabili. Le posizioni in merito sono contrastanti, ma forse, alla fine di questo 2010 nel quale si è celebrato il cinquantesimo anniversario della sua scomparsa (non senza polemiche: Nicolas Sarkozy ha previsto la traslazione delle ceneri dello scrittore al Pentheon, dividendo il mondo della cultura francese), è giunto il momento di affrancare Camus dalle descrizioni date di lui "per interposta persona".
Perché, se è vero che Sartre e Camus rappresentano il bianco e il nero del nostro passato prossimo, è anche vero che il valore artistico di Camus sta soprattutto nelle sue opere.
Sta ancora lì, da attingere e da riscoprire. Le quali opere, essendo in molti casi "lavori della memoria" (perduta, impossibile, riappropriata), sono capolavori che parlando dell'uomo del Novecento, e quindi parlano di noi.
Sul sedile posteriore dell'automobile di Gallimard si trovava il manoscritto incompiuto di uno dei più bei romanzi di Camus, quel "Primo uomo" pubblicato postumo nel quale l'autore tentava l'ambiziosa sintesi della sua esperienza intellettuale, il superamento dell'assurdo riappropriandosi della propria esistenza.