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Questo articolo è stato pubblicato il 08 dicembre 2010 alle ore 18:57.
Alla vigilia degli ultimi dieci anni della sua vita, Luigi Pirandello scrisse, per Marta Abba, la commedia «L'amica delle mogli». Il titolo, che suona molièriano, è indicativo: si tratta di un dramma dalla narrazione e dal ritmo complessi, con articolati concertati e colpi di scena che rimandano a linguaggi altri, da quello musicale a quello cinematografico fino a quello letterario.
Ed è con questa chiave, che si nutre di riferimenti (anche visuali) al cinema e alla letteratura, che la regia di Annig Raimondi svolge il complesso canovaccio di una trama densa di colpi di scena: disegno luci che rimanda al tremolio del cinema d'antan, didascalie del testo lette in scena dagli attori, attenta partitura di tempi e scansione dei ritmi.
La pièce, datata 1926, riprende una novella del 1894, che funge però da prologo alla vicenda narrata nella drammaturgia: la protagonista, Marta (il nome nel testo narrativo era differente, e viene mutato nel copione teatrale proprio in omaggio alla Abba) è qui ritratta nel rapporto con le coppie di amici del cui matrimonio si prende cura. Una cura così perfetta da sconfinare nella morbosità, e da svolgere una pericolosa attrazione sui mariti delle amiche.
Un ménage che da innocente vaudeville vira verso la tragedia. Tragedia dell'intelletto, certo, ma tragedia anche dell'azione: morti, omicidii e un rapido scivolamento nell'incubo. Forse tutta questa vastità- che dà al testo una discontinuità mirabilmente contenuta dalla messinscena - ha spiazzato negli anni i critici, che hanno scelto di archiviare «L'amica delle mogli» tra le opere meno riuscite e meno pirandelliane dell'autore.
Nell'allestimento della compagnia Pacta dei teatri, l'immaginario è proiettato in avanti, verso quella parte di Novecento che smaschererà il fascino discreto della borghesia: si scrive Pirandello, ma qui sembra leggersi Moravia. Lasciatemi sola: così conclude Marta il valzer tragico- vera e propria danza di morte - di questa nerissima commedia. Lei che aveva invaso le vite degli altri per tutta la vita. La regia sceglie qui una strada, arbitraria ma efficacissima, di un contrappasso sociale, nel quale i morti e i vivi, personaggi e attori, teatro e vita, si accaniscono contro di lei, come un branco metafisico, violentandola quasi, stuprando la sua indefinitezza, la sua doppiezza irrisolta tra apparenza e realtà.